Ma la Cina agisce anche attraverso la diplomazia, e in particolare attraverso due elementi. Da un lato, l’influenza sulle organizzazioni e sulle norme internazionali: Pechino dispiega non solo i classici sforzi diplomatici, ma anche operazioni di influenza clandestina (pressione economica e politica, cooptazione, coercizione e corruzione) per rafforzare la sua influenza. D’altra parte, la cosiddetta diplomazia del “lupo guerriero” si riferisce alle posture del portavoce del ministero degli Esteri e di una dozzina di diplomatici che mostrano un’aggressività crescente. Gli attacchi assumono forme classiche ma anche relativamente nuove, compreso l’uso dei social media e disinibite invettive, ammonizioni e persino intimidazioni.
Nel complesso, questa svolta aggressiva nella diplomazia cinese è controproducente e ha largamente contribuito al brutale degrado dell’immagine della Cina nel mondo negli ultimi anni, ma l’evoluzione è senza dubbio sostenibile perché l’obiettivo di questa strategia non è tanto conquistare cuori e menti quanto piuttosto accontentare Pechino.
Sotto il profilo economico invece viene usata la dipendenza. La coercizione economica cinese assume forme estremamente varie: negazione dell’accesso al mercato cinese, embarghi, sanzioni commerciali, restrizioni agli investimenti, quote del turismo cinese da cui dipendono determinate regioni, organizzazioni di boicottaggio popolare. Pechino fa sempre più della censura un prerequisito per l’accesso al suo mercato. E molte aziende finiscono per piegarsi sotto la sua pressione.
Sul piano politico ha l’obiettivo di penetrare nelle società target per influenzare i meccanismi di sviluppo delle politiche pubbliche. Mantenere rapporti diretti con partiti e personalità politiche influenti permette di infiltrarsi nelle aziende target, di raccogliere consensi ufficiali e non, e di aggirare eventuali blocchi al potere facendo leva su figure politiche dell’opposizione o in pensione. Pechino pratica anche interferenze elettorali (nell’ultimo decennio, la Cina avrebbe interferito in almeno 10 sondaggi in 7 paesi).
Ma anche l’istruzione è uno strumento molto importante per Pechino. In primo luogo attraverso le università, che sono uno dei principali obiettivi dell’azione di influenza del Partito. Le sue leve principali sono la dipendenza finanziaria, che porta all’autocensura negli stabilimenti interessati; sorveglianza e intimidazione, nei campus esteri, di studenti cinesi, ma anche di docenti e amministratori universitari, per modificare il contenuto dei corsi, i materiali didattici o la programmazione degli eventi; e la formazione degli studi cinesi, incitando all’autocensura e punendo gli studiosi critici. Il Partito-Stato utilizza anche le università per acquisire conoscenze e tecnologie, attraverso mezzi legali e aperti come i programmi di ricerca congiunti, o mezzi illegali e segreti come il furto e lo spionaggio. In un contesto di fusione civile-militare, alcuni programmi congiunti o ricercatori che ricoprono incarichi in dozzine di università occidentali stanno inconsapevolmente aiutando Pechino a costruire armi di distruzione di massa o sviluppare tecnologie di sorveglianza che serviranno a opprimere la popolazione cinese.
Vi è infine un altro importante attore dell’influenza cinese nel campo dell’istruzione, anch’esso legato alle università: gli istituti Confucio che si sono affermati in tutto il mondo e che, con il pretesto di insegnare la lingua e la cultura cinese, accrescono la dipendenza o anche l’assoggettamento di determinati istituti, minano la libertà accademica e potrebbero anche essere occasionalmente utilizzati per lo spionaggio.
Un altro strumento sono i think tank. La strategia cinese in questo settore è duplice, perché Pechino cerca di creare filiali di think tank cinesi all’estero e di gestire relay locali che possono essere essi stessi think tank, con tre scenari: i partner occasionali che fungono da cassa di risonanza, gli occasionali alleati che collaborano regolarmente con il Pcc e i complici che condividono con esso una visione comune del mondo e i cui interessi convergono. La Francia non è un obiettivo prioritario, se si deve credere al rapporto citato.
Sul territorio metropolitano, il rapporto indica i legami di alcune case editrici, fondazioni o think tank con Pechino: la casa editrice La Route de la Soie e la sua rivista Dialogue Chine France (pubblicata da un’organizzazione legata al Partito comunista cinese), il think tank Bridge Tank (che organizza eventi finanziati dall’ambasciata cinese), la fondazione Prospettiva e Innovazione presieduta da Jean-Pierre Raffarin, il think tank Iris (Istituto di relazioni internazionali e strategiche) che, in alcuni eventi una tantum, dà posto d’onore alle posizioni di Pechino.
Passiamo adesso alla diffusione della cultura cinese attraverso la produzione e l’esportazione di prodotti culturali, come film e serie televisive, musica o anche libri, che sono potenti vettori di seduzione. L’influenza si esercita anche sulle produzioni culturali straniere, in particolare sul cinema, con l’esempio di Hollywood: per non sconvolgere Pechino e mantenere il loro accesso al gigantesco mercato cinese, molti studi cinematografici americani praticano l’autocensura, modificando le scene, pur essendo zelanti, dando ai caratteri cinesi il ruolo “giusto”. La negazione dell’accesso al mercato cinese è una pratica diffusa per tutti gli artisti critici nei confronti del Partito-Stato. Attraverso altri tipi di pressione, Pechino spera anche di convincere gli artisti a modificare le proprie opere, o coloro che le mostrano in altre parti del mondo a smettere di farlo, o addirittura a fare il lavoro dei censori cinesi.
Naturalmente anche la guerra dell’informazione gioco un ruolo fondamentale.
La manipolazione delle informazioni, attraverso la creazione di false identità per diffondere la propaganda del Partito nei media, utilizzando falsi account di social media, troll e astrosurf (per simulare un movimento popolare spontaneo), utilizzando un gran numero di “commentatori di Internet” (erroneamente etichettati come “50 centesimi esercito”), pagato per “guidare” l’opinione pubblica. Solitamente controllati dal Pla o dal Ljc, i troll difendono, attaccano, discutono, insultano, molestano. Un altro modo per simulare l’autenticità è far pubblicare contenuti da terze parti, per soldi. A partire dal 2019, decine di migliaia di account falsi sono stati sospesi, alcuni da tempo “dormienti”, altri acquistati o rubati, amplificando la propaganda cinese e attaccando gli Stati Uniti, in cinese e in inglese. Alcuni account hanno immagini del profilo generate dall’intelligenza artificiale, una pratica ormai regolarmente vista nelle operazioni sui social media cinesi.
Un aspetto importante di queste campagne è che non si accontentano di difendere la Cina: la promozione del modello cinese comporta il degrado di altri modelli, in particolare quello delle democrazie liberali, come fanno ormai da anni le operazioni di influenza russa. Il Pla è al centro di queste manovre: utilizza i social network per un’influenza sia “aperta”, diffondendo propaganda, spesso a scopo di deterrenza e guerra psicologica; sia clandestina e ostile.
Altre leve usate da Pechino nelle sue operazioni di influenza includono i movimenti di tutti i cittadini, in particolare separatisti (Nuova Caledonia, Okinawa) e pacifisti (gruppo No Cold War), turisti cinesi, influencer, in particolare Youtuber occidentali e accademici stranieri.
Di analoga importanza la trappola del debito. Il rapporto rileva che negli ultimi 50 anni le aziende cinesi hanno costruito o ristrutturato 186 edifici governativi in Africa, tra cui Namibia, Angola, Ghana, Uganda. Nel lotto ci sono 24 palazzi presidenziali o del primo ministro. Inoltre, ci sono la creazione di 14 reti di telecomunicazioni governative sensibili e le apparecchiature informatiche di 35 governi africani. Tutto costruito ogni volta da aziende legate al potere cinese. Questa situazione solleva interrogativi, poiché le rivelazioni del 2018 hanno mostrato che la sede dell’Unione africana ad Addis Abeba, anch’essa costruita dai cinesi, era piena di microfoni e computer dotati di sistemi di spionaggio.
I casi di studio che vengono presi in considerazione assumono la forma di cerchi concentrici. Taiwan e Hong Kong costituiscono il primo fronte della “guerra politica” di Pechino: sono avamposti, campi di addestramento, “laboratori di ricerca e sviluppo” delle operazioni cinesi, che possono poi essere affinati e applicati ad altri obiettivi in giro per il mondo, come Georgia e Ucraina lo sono stati per le operazioni russe. Il primo passo per espandere il cerchio delle operazioni cinesi si è concentrato su Australia e Nuova Zelanda. La seconda tappa si è concentrata sul resto del mondo, in particolare, ma non solo, Europa e Nord America.
Ma qual è l’efficacia di tutte queste operazioni? Tutte queste operazioni di guerra psicologica e non comportano certamente successi tattici, ma costituiscono un fallimento strategico. Il brutale degrado dell’immagine di Pechino dall’arrivo di Xi Jinping, soprattutto negli ultimi anni, pone un problema di impopolarità per la Cina che sta assumendo proporzioni tali da poter in ultima analisi indirettamente indebolire il Partito, anche nei confronti della sua stessa popolazione.
(2 – fine)
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