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Home » Esteri » Africa » SCENARI/ Dall’Egeo ai Balcani: così Erdogan sfrutta l’assenza di Usa e Ue

  • Africa
  • Esteri

SCENARI/ Dall’Egeo ai Balcani: così Erdogan sfrutta l’assenza di Usa e Ue

Carl Larky
Pubblicato 13 Agosto 2020
Angela Merkel con Recep Tayyip Erdogan (LaPresse)

Angela Merkel con Recep Tayyip Erdogan (LaPresse)

Tranne i paesi musulmani dei Balcani e il Qatar, la Turchia fa alleanze a geometria variabile. Come con i russi, alleati in Siria e nemici in Libia

La contesa tra Turchia e Grecia nel Mediterraneo orientale ha assunto nei giorni scorsi toni più aspri, fino a far temere uno scontro navale diretto tra i due Paesi, entrambi membri della Nato. Al centro del confronto rimane la definizione delle Zee (zone economiche esclusive), divenute estremamente rilevanti ai fini dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi scoperti nell’area. La Turchia, in accordo con il governo libico di Tripoli, pretende di estendere notevolmente le Zee di sua pertinenza ai danni degli altri Paesi rivieraschi. La contesa coinvolge principalmente Cipro e la Grecia, insieme a Egitto e Israele, ma tocca anche Francia e Italia che, attraverso Total e Eni, avevano già iniziato esplorazioni nell’area, concessioni ora messe in discussione da Ankara.


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La questione non è facile da risolvere, come spiega Paolo Quercia nella sua intervista al Sussidiario, anche sotto il profilo strettamente giuridico, ma diventa molto difficile tenendo conto, come dice Quercia, che “nessuno è così determinato come Ankara nel perseguimento dei propri obiettivi strategici da rischiare uno scontro armato con la Turchia. Insomma, la Turchia potrebbe aver indovinato il momento giusto cogliendo lo smarrimento strategico sia di Bruxelles che di Washington”.


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La spregiudicatezza di Erdogan va forse oltre le attuali debolezze di Usa e Ue, trovando il suo fondamento nella difficoltà di tutti i suoi numerosi avversari a formare un fronte comune. In questo modo, può permettersi di giocare in pratica contro tutti su più tavoli, con alleanze temporanee e a geometria variabile. L’unico legame stabile sembra essere quello con il Qatar, dove è stata costruita nel 2015 una base militare turca. L’alleanza è basata anche sul sostegno che sia Ankara che Doha danno ai Fratelli musulmani, da cui sono a loro volta appoggiati.

Questo rapporto mette la Turchia in opposizione da un lato con l’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo, artefici di un severo blocco contro il Qatar, dall’altro con l’Egitto, il cui regime militare vede nella Fratellanza un nemico mortale. Il confronto è poi divenuto diretto in Libia dove Turchia e Qatar sostengono Tripoli, contrapposti a Egitto e Russia che appoggiano Bengasi. Accanto a una crescente collaborazione in campo petrolifero che, come visto, pone dalla stessa parte Egitto e Israele nella vicenda delle Zee nel Mediterraneo, i due Paesi sono avvicinati anche dalla comune avversione per i Fratelli musulmani. Infatti, la Fratellanza è un’aperta sostenitrice di Hamas a Gaza, cioè del maggiore avversario di Israele nella questione palestinese.


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Anche in Siria e Iraq il comportamento di Ankara si è qualificato per la sua “disinvoltura”: ufficialmente alleata degli americani, non si è astenuta dall’appoggiare gruppi islamisti, collaborando anche con i russi in disaccordo con Washington e attaccando violentemente i curdi, che avrebbero dovuto essere difesi dagli americani. Credo che Quercia sia troppo generoso quando parla di “smarrimento strategico sia di Bruxelles che di Washington”. Qui si tratta di una clamorosa ritirata, se non di una vera e propria fuga, tanto più condannabile dato che il caos nei due Paesi è stato originato proprio dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei, come d’altra parte in Libia.

Se lo scontro con Atene sta assumendo toni molto duri e pericolosi nel Mediterraneo, a nord della Grecia Ankara sta usando il cosiddetto “soft power” in un continuo aumento della sua influenza negli Stati dei Balcani. Si tratta di Paesi a maggioranza musulmana, come l’Albania e il Kosovo, o con forte presenza islamica, come la Bosnia ed Erzegovina e la Macedonia del Nord. Esempi recenti di questa “morbida” espansione sono la firma di un protocollo di collaborazione militare con l’Albania, che prevede aiuti finanziari a Tirana per l’acquisto di materiali e servizi bellici prodotti in Turchia. Al Kosovo, Ankara ha prestato aiuto nella lotta contro il Covid-19, ma, all’inizio di questo mese, ha anche formalizzato un accordo che prevede la donazione di uniformi e equipaggiamenti tecnici alle Forze di sicurezza kosovare per 743.000 dollari.

Tuttavia, Ankara intrattiene buoni rapporti anche con la cristiana Serbia, che però è soprattutto, storicamente, attratta da Mosca, generando un rapporto di concorrenza, per ora pacifica, simile a quello in Medio Oriente. Anche nei Balcani siamo di fronte a un variegato panorama di alleanze ed associazioni, a cominciare dalla Nato, cui partecipano le contendenti Grecia e Turchia, insieme a Bulgaria, Romania e Slovenia. Dell’Unione Europea fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Romania, Slovenia, mentre Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia (dal 1999) sono candidate ad entrarvi.

Questo intreccio di partecipazioni dovrebbe facilitare gli accordi tra i vari Paesi, ma sembra invece dare luogo a un puzzle, come quello mediorientale, in cui Erdogan sembra trovarsi del tutto a suo agio, a differenza dei suoi alleati/avversari europei e americani.


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