SCENARI/ Le idee di Brzezinski e il piano Usa per tenere “diviso” il Medio oriente

- Giuseppe Gagliano

Le idee di Brzezinski, consigliere di Carter, influenzano ancora la politica estera Usa. E uno stuolo di analisti compiacenti in Europa

jimmy carter 2019 lapresse 640x300 Jimmy Carter (Foto: LaPresse)

Un altro autore decisivo per comprendere le coordinate della politica estera americana di ieri come di oggi è certamente Zbigniew Brzezinski. Professore e diplomatico americano, già consigliere del presidente democratico Carter dal 1977 al 1981, è l’autore di The Grand Chessboard, sottotitolato Il primato americano e i suoi imperativi geostrategici, pubblicato nel 1997. L’opera si presenta come un breviario volto a perpetuare il dominio americano sul mondo. Lucido, coerente, argomentato, troviamo nell’opera una fortissima influenza delle teorie del containment e del rimland di derivazione mackinderiana (più che spykmaniana) dei rapporti tra il Nuovo Mondo e la massa continentale eurasiatica.

La caratteristica di questo saggio risiede nella sua franchezza, perfino in una sorta di presunto cinismo. “Poiché la potenza senza precedenti degli Stati Uniti – scrive Brzezinski – è destinata a diminuire nel corso degli anni, la priorità geostrategica è quindi quella di gestire l’emergere di nuove potenze globali in modo che non mettano in pericolo la supremazia americana sull’Unione Europea e il suo allargamento sponsorizzato da Washington: un’Europa più ampia aumenterebbe la portata dell’influenza americana […]. L’Europa diventerebbe in definitiva uno dei pilastri vitali di una grande struttura di sicurezza e cooperazione, posta sotto l’egida americana e estesa a tutta l’Eurasia. […] L’Europa occidentale resta in larga misura un protettorato americano e i suoi Stati ricordano quelli che un tempo erano vassalli e affluenti degli antichi imperi”.

Gli obiettivi Usa

Lo vediamo attraverso l’esempio di Brzezinski: “il modellismo del mondo (Shaping the world) organizzato sotto gli auspici americani, mira a mantenere un’indiscutibile preponderanza a Washington, emarginando le potenze europee per impedire loro di svolgere un ruolo autonomo nella redistribuzione delle carte in corso, nell’Europa dell’Est come in Medio Oriente. I principali obiettivi geopolitici americani sono contenere l’ascesa della Cina e una possibile rinascita della potenza russa. In questo nuovo Grande Gioco l’Europa non deve essere attore, ma spettatore pagante. Non esiste alcun contenimento nei confronti dell’Europa, come gli Stati Uniti potrebbero prevedere a livello geopolitico nei confronti della Cina o della Russia. È più esatto, dal punto di vista di un’analisi dell’equilibrio di potere tra il potere americano e il potenziale di potere europeo, parlare di strategia di neutralizzazione, anestesia o diluizione. Paradossalmente l’Europa è il più debole tra i potenziali concorrenti degli Stati Uniti a causa della sua vicinanza a Washington. L’unica arena in cui oggi gli europei restano tenacemente uniti è l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) dove numerose controversie li contrappongono agli Stati Uniti”.

Quando si tratta di sicurezza, tuttavia, l’Europa si trova in uno stato di estrema divisione. Non è politicamente contenuta dagli Stati Uniti: è, infatti, inutile. Sfruttare le sue profonde divisioni (tra l’Ovest e l’Est dell’Ue in particolare) si sta rivelando più redditizio e più rapido dell’accettazione da parte di Washington di uno status visibile di concorrente. Questa strategia di diluizione è eminentemente geopolitica. Nella sua Grande Scacchiera Brzezinski nota anche che il potere globale degli Stati Uniti è predominante in quattro settori: l’economia, l’esercito, la tecnologia, la cultura, a tal punto che nessun’altra potenza può competere.

Il dominio continua

Per perpetuare questo dominio, Brzezinski sostiene un’implementazione reattiva del potere militare (potere di proiezione) e controllo delle risorse energetiche. In questa prospettiva (che era già quella della dottrina Carter del 1980) il petrolio è concepito non come fonte di ricchezza, ma piuttosto come fonte di potere: negare l’accesso a potenziali concorrenti (o essere in grado di farlo, il che si equivale) è lo scopo perseguito. Brzezinski definisce questi potenziali concorrenti come i “principali attori geostrategici”: si tratta degli Stati o entità dotati della capacità e della volontà sufficienti per esercitare un’influenza oltre i propri confini e minacciare la supremazia degli Stati Uniti. Secondo lui gli unici attori possibili sono Russia, Cina, India e Unione Europea. Di questi quattro concorrenti, la Cina, il nuovo Heartland, sarà il più difficile da contenere, a causa della sua massa, della sua volontà e della sua specificità. Pechino è l’Altro, nell’attuale definizione della strategia americana, vale a dire, in senso schmittiano, il nemico “utile” che giustifica gli sforzi di Washington in Eurasia.

Nel 1997, quando Brzezinski formulava la sua analisi, la disgregazione della Russia di Boris Eltsin, l’India, l’Unione Europea non sono o non sono più nemici militari, né avversari strategici, ma concorrenti economici o tributari diplomatici. Dieci anni dopo, però, la Russia di Vladimir Putin si dimostra sufficientemente indipendente e potente e si colloca ancora una volta, come la Cina, nella fascia di “grande rischio” per gli Stati Uniti. Una convergenza è in atto anche sul piano politico ed economico tra Pechino e Mosca: nel 2001, Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan hanno concordato di creare l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) che appare sufficientemente portatrice di alternative politiche globali affinché India e Pakistan possano aderirvi nel 2016. La SCO, un’organizzazione immersa nelle contraddizioni – ma non meno rispetto alla NATO – rappresenta il 20% del PIL mondiale e il 45% della popolazione mondiale del globo. Nel luglio 2014 Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno firmato la Dichiarazione di Fortaleza: l’obiettivo dichiarato è “porre fine alla supremazia del dollaro”. In questo gruppo BRICS, piuttosto eterogeneo ma determinato a rimescolare le carte della distribuzione geopolitica globale dei fattori di influenza e decisione, la Cina sembra la più determinata a riequilibrare, o addirittura, su certi punti, a sfidare il potere globale americano.

La sfida di Pechino

Ecco perché la creazione nel 2014 da parte di Pechino della Banca asiatica per le infrastrutture e gli investimenti (AIIB): per rappresentare un’alternativa al FMI. Nel 2015, l’AIIB aveva più di cinquanta Paesi azionisti, tra cui Francia e Regno Unito (nonostante gli avvertimenti di Washington). E poi l’inaugurazione nel 2013 di una linea ferroviaria di 11.179 chilometri che collega Chongqing a Duisburg (Germania) in 20 giorni contro 35 via mare, denominata la nuova rotta del sole e la firma nell’aprile 2015 da parte del presidente Xi Jinping di un accordo con il Pakistan per la costruzione di un corridoio economico che collegherà Kashgar nella provincia dello Xinjiang al porto pakistano di Gwadar tramite strada, ferrovia e oleodotto.

Nel 1977 l’amministrazione Carter, di cui Brzezinsky fu il principale consigliere internazionale, elaborò i primi piani per una Forza di Dispiegamento Rapido la cui costituzione fu annunciata nell’ottobre 1979, nel pieno della crisi in Iran (Rivoluzione islamica) e in Afghanistan (Rivoluzione sovietica). Gli americani proclamano fin dall’inizio (dottrina Carter) di essere pronti a intervenire con la forza se i loro interessi fossero minacciati nel Golfo Persico. La Rapid Deployment Force viene trasformata in un quartier generale operativo regionale (Central Command o CENTCOM) nel 1983. È stato questo centro a guidare le operazioni americane durante la guerra Iran-Iraq (protezione delle rotte marittime), la prima guerra del Golfo e la guerra dell’Iraq nel 2003-2013.

Tutte queste decisioni documentano di fatto l’obiettivo cinese di stabilire una nuova struttura geopolitica in Eurasia. È improbabile che Washington entri in guerra contro Pechino o Mosca, se non altro a causa dello status di potenze nucleari indipendenti di russi e cinesi. Tuttavia, la politica di affermazione geopolitica regionale di Mosca e Pechino (crisi in Ucraina e Crimea nel 2014, rivendicazioni marittime cinesi nel 2013) consente agli americani di proporsi come “garanzia di sicurezza” per le piccole e medie potenze di confine (europei dell’Est, Giappone, piccoli Paesi asiatici vicini marittimi della Cina), mantenendo un relativo contenimento nell’ovest e nell’est dell’Eurasia.

Queste priorità geopolitiche sono espresse in termini geostrategici: se sovrapponiamo le teorie di neo-contenimento ispirate da Brzezinski alla matrice organizzativa dei comandi militari regionali del Pentagono, cosa che raramente avviene, osserviamo una distribuzione per priorità che rispetta una tettonica geopolitica relativamente suggestiva.

L’Eurasia divisa

Nell’attuale piano dei comandi regionali dell’esercito americano, l’Eurasia è stata divisa in due parti principali, una composta da Europa e Russia (USEUCOM, che gestisce anche il comando militare della NATO), e l’altra da Cina, India e costa del Pacifico (USPACOM). A queste due zone di concorrenza vanno aggiunte due “zone miste” (Africa e America del Sud, che non generano alcuna concorrenza a livello mondiale, ma che sono oggi oggetto di diverse strategie di influenza da parte delle potenze mondiali, e che gli Stati Uniti devono monitorare). Nell’Heartland eurasiatico possiamo notare che i quattro possibili concorrenti dell’America non condividono le stesse caratteristiche: né l’Unione Europea, come abbiamo detto, né l’India hanno, per il momento, né lo spazio e le risorse naturali, né una volontà politica chiaramente identificata per costituire un contrappeso alla potenza americana. D’altro canto la Cina si sta affermando pienamente; la Russia, da parte sua, è stata una diretta concorrente e aspira a riconquistare parte del suo potere.

All’incrocio, appunto, dei polmoni russo e cinese dell’Eurasia si trova l’area di responsabilità del CENTCOM, creata nel 1983, che copre un’area (il Medio Oriente) situata alla cerniera del Rimland: sfruttata energicamente e dominata politicamente, penetrando come la prua di una barca nella massa eurasiatica, questa zona offre la possibilità alla potenza marittima americana di contenere in parte l’emergere e l’apertura dei poli russo, cinese e iraniano. Ma per raggiungere questo obiettivo c’è una condizione: il Rimland mediorientale non deve in nessun caso unirsi. Per questo motivo gli Stati Uniti sono sempre stati ostili ai tentativi federalisti e indipendentisti del nazionalismo arabo e iraniano (partiti Baath siriano e iracheno, politica di Nasser in Egitto, progetto di indipendenza nazionale portato avanti da Mossadegh in Iran negli anni 90).

È anche per questo motivo che regimi e movimenti islamici (ostili all’India, alla Russia, alla Cina e nemici dei nazionalismi arabi laici) sono stati per un certo periodo favoriti dagli Stati Uniti (cfr. l’aiuto ai mujaheddin negli anni 80), ma la radicalizzazione fondamentalista musulmana, con la Guerra del Golfo e l’aggravarsi del conflitto israelo-palestinese, si è impadronita di questa strumentalizzazione rivolgendo la dinamica jihadista contro Washington (attentati dell’11 settembre 2001).

L’intervista

Allo scopo di illustrare tutto questo in modo ancora più chiaro riportiamo un breve estratto dal periodico Le Nouvel Observateur dell’11 gennaio 1998.

“LNO: L’ex direttore della CIA Robert Gates afferma nelle sue memorie (From the Shadows): i servizi segreti americani iniziarono ad aiutare i mujaheddin afgani sei mesi prima dell’intervento sovietico. All’epoca lei era il consigliere per la Sicurezza del presidente Carter; quindi hai avuto un ruolo chiave in questa faccenda. Conferma? Brzezinski: Sì. Gli aiuti della CIA ai mujaheddin iniziarono nel 1980, cioè dopo che l’esercito sovietico invase l’Afghanistan il 24 dicembre 1979. Ma la realtà, tenuta segreta fino ad oggi, è ben diversa: era infatti il 3 luglio 1979 quando il presidente Carter firmò la prima direttiva sull’assistenza clandestina agli oppositori del regime filosovietico a Kabul. E quel giorno scrissi una nota al presidente in cui gli spiegavo che, secondo me, questi aiuti avrebbero portato all’intervento militare dei sovietici. LNO: Nonostante questo rischio, lei era un sostenitore di questa ‘azione segreta’ [operazione clandestina]. Ma forse voleva addirittura che i sovietici entrassero in guerra e ha cercato di provocarla? B: Non è proprio così. Noi non abbiamo spinto i russi a intervenire, ma abbiamo consapevolmente aumentato la probabilità che lo facessero. LNO: Quando i sovietici giustificarono il loro intervento affermando che intendevano lottare contro l’ingerenza segreta degli Stati Uniti in Afghanistan, nessuno ci credette. Ma un fondo di verità c’era. Non rimpiange nulla oggi? B: Rimpiangere cosa? Questa operazione segreta è stata una grande idea. Ha avuto l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e vuole che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici attraversarono ufficialmente il confine, scrissi al presidente Carter, in sostanza: ‘Ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS la guerra del Vietnam’. Mosca, infatti, dovette condurre per quasi dieci anni una guerra insopportabile per il regime, un conflitto che portò alla demoralizzazione e infine alla disgregazione dell’impero sovietico. LNO: Anche lei non si pente di aver favorito il fondamentalismo islamico, di aver dato armi e consigli ai futuri terroristi? B: Cosa è più importante nella storia del mondo? I talebani o la caduta dell’impero sovietico? Alcuni entusiasti islamici o la liberazione dell’Europa centrale e la fine della Guerra fredda? LNO: Ma lo ripetiamo ancora e ancora: il fondamentalismo islamico rappresenta oggi una minaccia globale. B: Senza senso! Si dice che l’Occidente dovrebbe avere una politica globale nei confronti dell’islamismo. È stupido: non esiste un islamismo globale. Guardiamo all’islam in modo razionale e non demagogico o emotivo. È la religione più grande del mondo con 1,5 miliardi di seguaci. Ma cosa hanno in comune l’Arabia Saudita fondamentalista, il Marocco moderato, il Pakistan militarista, l’Egitto filo-occidentale o l’Asia centrale secolarizzata? Niente di più di ciò che unisce i Paesi della cristianità”.

Col senno di poi, e tenendo conto dello sviluppo dell’islamismo politico negli anni 2000, l’ostinazione analitica egocentrica di Brzezinski può apparire particolarmente preoccupante. È anche possibile mettere in discussione l’eccessiva attenzione rivolta alla Russia post-Guerra fredda, che porta a trascurarla. Tuttavia, nonostante i suoi errori di analisi sulla capacità del fondamentalismo islamico di generare una dinamica transnazionale, l’influenza di Zbigniew Brzezinski è rimasta estremamente importante sulle diverse amministrazioni americane che si sono succedute a partire dagli anni di Carter. A prova della solidità del suo magistero, Barack Obama lo ha nominato consigliere per gli Affari esteri dopo la sua elezione nel 2008. L’osservazione che vorremmo formulare è relativa alla patetica sudditanza che hanno dimostrato – e che dimostrano ancora oggi – numerosi studiosi di relazioni internazionali e di geopolitica, che invece di tutelare gli interessi dell’Europa – e nello specifico della loro nazione – tutelano gli interessi americani, condividendo non tanto la metodologia di Brzezinski, ma il primato americano, che deve essere difeso a tutti i costi.

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