A Bruxelles si parla di una dilazione nell'applicazione delle regole per gli usi ad alto rischio dell'Intelligenza artificiale
La sensazione che l’Unione europea stesse vacillando era evidente da alcuni ripensamenti ventilati a proposito del Regolamento europeo per la Protezione dei dati e in dilazione di quell’impianto normativo che ha costruito in quasi un decennio per sopperire alla sua natura di “mosca tecnologica”. Adesso è arrivato il momento dell’AI Act.
Presentato in pompa magna come la prima norma che regolava l’utilizzo di quella che promette di essere la nuova vera rivoluzione tecnologica, oggi inizia a essere considerato una “zavorra” tanto che si parla di una dilazione nell’applicazione delle regole per gli usi ad alto rischio dell’Intelligenza artificiale. Se la strada è questa, allora significa che l’Europa si appresta ad accettare la più grande sfida della sua storia.
Da un lato, accettare che normare le tecnologie non equivale a governarle; dall’altro, decidere di scendere su un campo di battaglia di cui non si controlla il territorio, armati con equipaggiamenti forniti da altri, con un esercito senza effettivi pronti allo scontro e senza nessun luogo in cui ritirarsi.
L’abbandono della “strada della legge” sembra essere imminente nelle parole, ma questa volta anche nei fatti. Allora la domanda sorge spontanea: se scegli di scendere in guerra (perché di conflitto si tratta) in condizioni di evidente inferiorità, significa che hai un piano.

Si può comprendere che l’Europa intuisca che la macchina normativa, se spinta troppo in fretta, rischia di generare l’effetto opposto: spingere innovazione e investimenti altrove, lasciandola con un impianto regolatorio perfetto ma “disabitato”. Forse il dubbio che si è insinuato a Bruxelles è che il baratto dell’accettazione delle regole contro l’accesso a una comunità di consumatori alto spendenti non sta reggendo alla prova del tempo. In fondo normare ciò che non si possiede è possibile; pretendere che funzioni come se lo possedessimo è un’illusione.
Proviamo a essere ottimisti: non siamo di fronte a una resa, ma a un momento di verità. L’Europa scopre che la sua arma principale potrebbe sparare a salve. Allora interviene con un cambio di rotta, ma torniamo all’esistenza di un piano, a una serie di azioni rapide, perché il mondo digitale si muove velocemente, e decise, perché si deve scegliere una direzione e su quella investire tutte le proprie risorse.
Di questo piano ancora non vi è traccia e forse dobbiamo prendere atto che in realtà non esiste. L’arretramento dell’Ue è, forse, molto più semplicemente provocato da un sistema politico che non accetta di essere “secondario” dopo un millennio di dominio sul mondo, dall’arroganza di Stati che pensano di potere ancora competere a livello globale, dalla gigantesca illusione di essere ancora caput mundi.
Ecco che emerge il vero nemico della sovranità tecnologica europea che non è rappresentato dalle Big Tech, ma dal principio fondativo mai detto dell’Unione europea: ognun per sé, Bruxelles per tutti. Il problema è che Bruxelles non è dio.
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