Nonostante un Piano d'azione approvato a inizio anno, le scelte dell'Ue continuano a mettere in difficoltà l'industria automobilistica
Con Mattia Adani, economista e Presidente dell’Unione europea dell’industria dei lubrificanti, continuiamo l’analisi sulle prospettive dell’industria automobilistica in Europa, che sono state anche al centro, all’inizio dell’anno, di un Dialogo strategico avviato dalla Commissione, cui è seguito un Piano d’azione.
Come giudica le decisioni e le iniziative finora prese da Bruxelles in tema automotive in questa seconda legislatura?
Il nuovo piano europeo per l’automobile arresta nel breve termine alcuni degli aspetti perversi del sistema precedente, tra cui un sistema di sanzioni disegnato con obiettivi irrealistici, ma non affronta le questioni strutturali di fondo. Si conferma infatti il divieto per le auto tradizionali a partire dal 2035, citando tra le opzioni alternative possibili solo elettricità e idrogeno, e senza menzionare, ad esempio, i biocombustibili di origine non fossile, che pure potrebbero rappresentare una soluzione concreta per almeno parte del problema.
Come mai, a suo avviso?
Questo perché, come per molti altri settori, l’Europa si dà troppi obiettivi e poi non riesce a scegliere tra loro, fermandosi in discussioni defatiganti o producendo rapporti altisonanti, ma con poca possibilità di essere messi in pratica. Si spinge la bioeconomia da un lato, per rendersi più autonoma dalle fonti fossili, ma poi la si blocca dall’altro, per timore che crei deforestazione o concorrenza con l’uso alimentare dei beni agricoli o ulteriore consumo di suolo. Il piano, peraltro, approvato solo pochi mesi fa, è già stato superato dalla realtà.
In che senso?
Si prevede un ulteriore rilancio degli incentivi economici per l’acquisto delle auto elettriche, ma la Germania li ha ridotti perché insostenibili economicamente. Si prevedono 1,8 miliardi per la creazione di una filiera europea delle batterie elettriche, ma il “campione” europeo del settore, Northvolt, ha dichiarato bancarotta e ora non è più di proprietà europea.
Si prevedono nuovi investimenti nel settore dell’idrogeno, ma sia Stellantis che Renault hanno deciso di abbandonare tale tecnologia. Nei prossimi anni saranno necessarie ulteriori correzioni per garantire un equilibrio tra sostenibilità ambientale, competitività industriale e indipendenza strategica.
La Cina rappresenta per l’Europa una minaccia solo sul fronte dell’auto elettrica o anche di quella ibrida o ad alimentazione tradizionale?
La Cina sta semplicemente ritornando, dopo un periodo di declino relativo, al ruolo che ha sempre avuto nella storia: quello di un grande Paese manifatturiero e avanzato. Non è una minaccia, ma una sfida, non solo per il settore dell’automobile, ma per tutta la nostra industria in generale.
Le politiche europee, che certamente hanno contribuito a peggiorare la situazione e ad accelerarne l’evoluzione, non sono state però la causa principale della crisi del settore automobilistico, che risiede nella capacità dei produttori asiatici, soprattutto cinesi, di colmare il divario tecnologico e di competenze con l’Europa e gli Stati Uniti.
Con quali conseguenze?
In Cina, nel 2000, si producevano 2 milioni di automobili; nel 2022, 27 milioni. L’industria dell’auto europea, che ancora gode della supremazia tecnologica nei tradizionali motori a combustione, non è riuscita a trasferire tale vantaggio nel campo della mobilità elettrica, nonostante gli investimenti, e che oggi vede la Cina in posizione di leadership, né in quello della guida autonoma, dove gli Stati Uniti risultano più avanzati.
Come ricordato dal Governatore della Banca d’Italia Panetta nella sua ultima relazione, il gap tecnologico di cui il mondo occidentale ha goduto negli ultimi duecento anni nei confronti del resto del mondo sta svanendo. Questo significa, purtroppo, che una serie di lussi che ci siamo potuti permettere e di cui ancora godiamo saranno molto più difficili da sostenere in futuro.
Quanto rischia oggi il settore automotive europeo tra minaccia dei dazi Usa da un lato e concorrenza cinese dall’altro?
Il settore automotive rischia molto, ma il problema non sono tanto i dazi Usa o la concorrenza cinese, quanto le stesse politiche europee, che si pongono obiettivi eccessivamente ambiziosi, senza poi avere la capacità di raggiungerli in pratica. Ma non dobbiamo avere paura. Abbiamo tutte le competenze tecniche e capacità per risolvere questa situazione. Dobbiamo semplicemente allineare i nostri obiettivi alla realtà com’è e non a quella che vorremmo.
(2- fine)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.