Xi Jinping ha sovvertito tutte le regole non scritte della successione al potere cinese, privilegiando la fedeltà personale. Molte le possibili conseguenze

Il tema della successione politica in Cina è stato recentemente sollevato durato il podcast del 2 ottobre di Foreign Affairs intitolato Xi Jinping’s Successor and the Future of China. Tyler Jost e Daniel Mattingly hanno discusso circa la stabilità del sistema politico e le modalità con cui verrà gestita la successione di Xi Jinping. La rimozione dei limiti di mandato, l’inclusione del “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” nella Costituzione e l’accentramento delle funzioni decisionali nelle mani del Partito hanno dato al regime un assetto stabile ed incontestabile, ma hanno dato vita a una struttura di potere di natura fortemente personalistica e accentratrice.



Questa concentrazione nella figura del leader potrebbe produrre un effetto indesiderato per il regime, che rischia di dover fare i conti con una progressiva erosione del principio di collegialità e la cancellazione di qualsiasi previsione istituzionale sulla successione.

Dopo la morte di Mao Zedong, la leadership di Deng Xiaoping aveva promosso una parziale istituzionalizzazione del potere politico. Infatti, per evitare l’affermarsi di una leadership autocratica come quella di Mao, il partito comunista adottò delle regole non scritte che prevedevano il massimo due mandati, collegialità per le decisioni strategiche e la designazione anticipata di un successore.



Le transizioni da Jiang Zemin a Hu Jintao, e poi a Xi, rispettarono questa consuetudine istituzionale, ma con il governo Xi i sottili equilibri che garantivano il passaggio di potere sono stati sovvertiti. Il principio della leadership collettiva ha ceduto il passo a una centralizzazione senza precedenti nell’epoca post-Deng, ma la questione della successione rimane il perno di tutto l’assetto politico e il passaggio dirimente per il futuro della Cina.

Non è un caso che i principali think tank occidentali che studiano la politica cinese – dal CSIS al MERICS e Lowy Institute — delineano quattro traiettorie possibili.



La prima prevede la permanenza di Xi oltre il 2030, con un rinvio indefinito della transizione e un rischio crescente di successione traumatica. La seconda immagina un ritorno parziale alle consuetudini precedenti, con la progressiva emersione di un “delfino” politico riconosciuto. La terza ipotizza una reggenza collegiale, in cui il Comitato permanente e la Commissione militare condividano temporaneamente il potere. La quarta, più destabilizzante, contempla una crisi interna capace di innescare lotte interne e ridefinire gli equilibri del vertice.

Anche se il meccanismo di successione era gestito dai congressi quinquennali del Partito, le decisioni che contano venivano fatte con anni di anticipo. In passato si poteva intuire il futuro leader da passaggi istituzionali quasi impercettibili per osservatori esterni, ma che per il rituale del Partito avevano un significato profondo, come l’ingresso nel Comitato permanente, l’assegnazione di portafogli strategici (organizzazione, propaganda, sicurezza) oppure un ruolo di prestigio nella Commissione militare. Ma Xi ha cambiato tutto, sostituendo la logica della successione con quella della fedeltà personale.

100 yuan renminbi. Sullo sfondo, la Popular Bank of China (Ansa)

I nomi che circolano tra gli analisti – Yin Li, Chen Jining, Chen Wenqing, Yin Yong, Li Qiang o He Lifeng – non hanno né la legittimazione politica né il consenso interno necessari per imporsi come successori naturali: se uno di loro diventerà leader lo sarà per “concessione” di Xi.

Ma un concentrazione di potere così grande è destinata a mostrare le sue criticità soprattutto sul versante delle relazioni internazionali. Esse  possono rappresentare il vero banco di prova per la leadership di Xi, che ha stretto un rapporto di natura personale con Vladimir Putin.

L’intesa sino-russa, concepita come strumento di contrappeso all’Occidente, ha portato dei vantaggi tattici a Xi, ma lo espone a rischi sia di natura strategica sia di tipo reputazionale.

Un eventuale indebolimento di Mosca o l’inasprimento delle guerre commerciali e della competizione tecnologica con gli Stati Uniti, potrebbero trasformarsi in un fattore di instabilità politica interna, minando la narrativa di efficienza e controllo che legittima la figura Xi. Le conseguenze della fase pre-transizione sono quindi anche geopolitiche.

Gli analisti osservano che le leadership autoritarie tendono a ricorrere a dimostrazioni di forza esterna – esercitazioni militari, pressioni su Taiwan, posture assertive nel Mar Cinese Meridionale – per rafforzare la coesione domestica.

Ma la Cina, al contrario della Russia, rimane fortemente integrata nell’economia globale. La stabilità delle catene del valore e l’accesso alle tecnologie critiche restano condizioni imprescindibili, a conferma che la transizione verso una nuova leadership sarà condizionata soprattutto da questioni geopolitiche e geo-economiche.

Inoltre, all’interno del Partito, nonostante l’apparente monolitismo, sopravvivono correnti pragmatiche legate alla tradizione tecnocratica degli anni di Hu Jintao e Wen Jiabao. Oggi sono marginalizzate, ma mantengono relazioni consolidate con istituzioni economiche, università e interlocutori internazionali. In una fase di transizione, potrebbero riemergere come canali di dialogo informale con l’Occidente.

Non rappresentano un’opposizione politica, bensì la componente dialogante del sistema, interessata alla stabilità domestica e allo sviluppo del mercato interno, più che al confronto ideologico per l’egemonia.

Parliamo di gruppi dotati di pragmatismo e flessibilità, strumenti decisivi che la leadership autocratica di Xi sembra aver smarrito, avendo favorito l’assertività in politica estera e il controllo di tutta la verticale del potere cinese rispetto alla flessibilità necessaria in questa fase. Un errore che potrebbe costare caro a Xi, che non sarebbe il primo “imperatore” cinese ad essere vittima del suo successo.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI