La quarta ondata sale dalla Slovenia, invade l’Austria, penetra in Baviera, s’affaccia sulle Alpi italiane. Nessuno a questo punto è in grado di sapere se e quanto saremo risparmiati, ma il buon senso spinge a dire che sarà difficile trasformare l’Italia in un enclave protetto grazie al vaccino. Anche perché nel frattempo gli ospedali si riempiono soprattutto di non vaccinati che sono ancora molti, circa otto milioni tra chi ha più di 12 anni.
Si discute di obbligo vaccinale, di super green pass, mentre alcune regioni temono di tornare presto gialle. Pensavamo di averla scampata, ma così non è anche se riusciremo ad alzare le nostre dighe, il nostro Mose anti-Covid. Quel che preoccupa in modo particolare è il fattore Germania, il Paese più grande e il nostro principale sbocco commerciale. Certo, con Austria e Slovenia in lockdown c’è da chiedersi che cosa accadrà ai valichi di frontiera, non è difficile immaginare le ripercussioni sull’autostrada del Brennero o a Tarvisio. Ma non c’è dubbio che il rapido peggioramento della pandemia tedesca fa davvero venire i brividi.
La Germania è conosciuta per avere un ottimo sistema sanitario, ha evitato di concentrarlo eccessivamente e ha mantenuto una struttura diffusa nel territorio (si è detto che proprio grazie a questo ha resistito meglio di altri alla prima ondata), in Germania è nato il vaccino più efficace, quello prodotto da Pfizer (del quale l’anno scorso le autorità di Berlino hanno fatto ampia scorta), secondo un diffuso luogo comune i tedeschi sono disciplinati e hanno un profondo rispetto dell’autorità (due convinzioni che si sono rivelate sbagliate, forse per colpa della pandemia, forse perché veri e propri stereotipi), ebbene nonostante tutto questo c’è un alto numero di non vaccinati, esistono resistenze di ogni tipo, più o meno legittime e spesso molto strumentali, la situazione è già drammatica e rischia di finire fuori controllo: ha lanciato l’allarme Angela Merkel ancora in carica visto che il nuovo Governo non è stato ancora formato.
Altre restrizioni sono inevitabili. Potrebbero arrivare chiusure a macchia di leopardo, a seconda delle situazioni regionali, sta a ogni Land decidere il da farsi. Tuttavia anche lockdown locali o flessibili bastano a provocare serie conseguenze nella vita sociale e in quella economica. Tanto più se si tratta di territori vasti, ricchi ed economicamente strategici come la Baviera che ha 12 milioni e mezzo di abitanti e un Pil grande come quelli della Grecia e del Portogallo sommati insieme, con un modello basato sulla triade industria, tecnologia e turismo senza trascurare l’agricoltura che un tempo era la fonte principale di ricchezza. A Monaco oltre alle “indigene” BMW, Audi, Siemens, MAN, Escada e Allianz, troviamo Apple, Oracle, Yahoo!, Mc Donald’s, O2 e Sony. Baluardo cattolico, vero stato nello stato, anche sul piano politico, che ha mantenuto la sua autonomia anche dopo l’unificazione sotto l’egida prussiana.
Con la Baviera, l’Italia ha sempre intrattenuto forti legami, diventati sempre più stretti dal momento che si è creato un reticolo di filiere industriali grazie alle quali la manifattura italiana e quella tedesca vivono in simbiosi in settori importanti, a cominciare dall’automobile. Basterebbe il blocco della Baviera per mettere nei guai comparti strategici, non parliamo se si estendesse a buona parte della Germania.
Salute e lavoro, il binomio che sembrava essersi rimesso in carreggiata nei mesi scorsi, è di nuovo sotto tiro. Il Governo se ne rende conto e cerca di correre ai ripari, anche se non è chiaro come. Nessuno può garantire che l’ulteriore accelerazione della terza dose e il giro di vite contro i non vaccinati riescano a fermare la quarta ondata. Possono certo attenuare gli effetti peggiori, soprattutto è molto concreto il rischio che si spezzi di nuovo la catena sociale faticosamente riparata nei mesi scorsi. Anche l’impatto sulla politica potrebbe rivelarsi disastroso.
Il successo di Mario Draghi e del suo Governo è basato sui risultati ottenuti nella vaccinazione e sulla crescita trainata in parte dalle erogazioni monetarie in disavanzo che hanno attenuato la ricaduta sui redditi della recessione produttiva, e soprattutto dal formidabile dinamismo delle esportazioni. Secondo il rapporto della Sace, le esportazioni italiane di beni in valore cresceranno quest’anno dell’11,3%, più che compensando il calo del 9,7% nel 2020, una dinamica che si dovrebbe mantenere, anche nel triennio successivo, superiore ai tassi pre-pandemia.
“L’Italia motore della ripresa in Europa”, ha titolato a tutta pagina Il Sole 24 Ore venerdì 12 novembre, perché il made in Italy ha saputo intercettare la ripresa della domanda soprattutto nella parte occidentale del continente. Anche la borsa ha fatto da sponda e piazza degli Affari ha registrato quotazioni record. Il fattore Germania potrebbe rimettere tutto in discussione e il Governo non ha nessun asso nella manica.
Il Pnrr non è ancora partito e si vedono sempre più segnali di ritardo o veri e propri rinvii. La prima tranche da 25 miliardi di euro arrivata da Bruxelles è ancora poca cosa, mentre in settimana dovrebbe essere annunciata una seconda fetta da 20 miliardi per i primi mesi del prossimo anno. Dovrebbero servire per gli investimenti, ma l’impatto concreto si vedrà nel 2023. In Parlamento è cominciata la guerriglia sulla Legge di bilancio che stanzia 30 miliardi di euro per la spesa corrente e Draghi è sempre più irritato dai comportamenti dei partiti che lo sostengono. Quota 100, Reddito di cittadinanza, superbonus, scuola, e non parliamo del fisco tutto da discutere: dalla Lega al Pd passando per quel che resta del M5S, ognuno ha qualcosa da ridire e da rivendicare. Non è davvero il clima ideale per affrontare la minaccia che arriva da nord-est.
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