Quella che si sta concludendo è stata una delle settimane più volatili di sempre sui mercati a causa della questione dazi

Dopo una delle settimane più volatili di sempre per i mercati finanziari e in un quadro confuso si possono in realtà isolare alcuni fatti.

Due settimane di guerra commerciale tra gli Stati Uniti e il resto del mondo si chiudono con un embargo di fatto per i prodotti cinesi in America e per tutti gli altri una sospensione di 90 giorni e dazi al 10%. La valuta cinese è agli stessi livelli contro il dollaro del primo gennaio 2025 e questo significa che non c’è alcuno sconto sostanziale sul dazio del 145% imposto dagli Stati Uniti sulle merci di Pechino. Gli ordini di prodotti cinesi vengono cancellati perché le catene di distribuzione americane non possono rincarare i prezzi di oltre il 100%; le merci del Paese asiatico finiscono poi, come componenti, in molti altri beni.



Gli Stati Uniti non possono sostituire 500 miliardi di dollari di importazioni cinesi dall’oggi al domani; anche se potessero il risultato, persino con il contributo di Paesi a basso costo, sarebbe comunque peggiore in termini di prezzi perché è difficile replicare il sistema produttivo di Pechino. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, il comportamento delle obbligazioni americane con i rendimenti saliti nonostante una recessione venga ormai considerata inevitabile.



America e Cina al momento sono su una traiettoria di scontro che implica una separazione dei due sistemi e che comporta tensioni sociali. Nel caso cinese la chiusura di linee produttive per la perdita del primo cliente e nel caso americano per le tensioni sui prezzi per la scomparsa del primo fornitore.

La “volatilità” dei mercati, la salita dei rendimenti obbligazionari è uno dei canali in cui lo scontro tra le due superpotenze si può propagare al resto del mondo. Non è l’unico canale perché le merci cinesi che non trovano più sbocchi in America potrebbero farsi strada in modo destabilizzante in altri mercati.



La volatilità dei mercati e il rallentamento economico, prima ancora che i mercati fisici, mettono alla prova gli altri sistemi finanziari e gli altri sistemi politici. Ieri, per esempio, il commissario europeo per l’Economia, Dombrovskis, ha fatto sapere che lo stop al Patto di stabilità arriverà solo con una grave recessione che adesso non c’è. Qualsiasi tipo di instabilità apre in Europa fratture che non derivano solo dalla cattiva volontà dei suoi membri, ma dai difetti di costruzione dell’euro e dalla frammentazione economica e sociale europea. Maggiore è l’instabilità, più grandi sono le fratture dentro l’Europa.

Il Premier spagnolo Sanchez ha appena finito la sua visita in Cina in cui si sarà sicuramente parlato di accordi commerciali per le esportazioni spagnole e le importazioni cinesi prima ancora di qualsiasi accordo “europeo”.

L’euro si è rivalutato contro il dollaro del 10% in meno di due mesi. Ai dazi oggi in essere sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti si deve sommare anche questa cifra. Più che una scommessa sull’euro si assiste a una generale sfiducia verso il biglietto verde non solo per la difficoltà di controllare la volatilità finanziaria e forse, nel medio termine, anche i prezzi, ma per una percezione diffusa di un uso politico del dollaro da parte degli Stati Uniti. È toccato alla Russia dopo l’invasione in Ucraina, ma oggi sono in molti a chiedersi cosa succederebbe in caso di disaccordo con gli Stati Uniti.

Archiviata questa settimana rimangono più domande che risposte. La prima è quale prospettive ci siano di un accordo tra Cina e Stati Uniti che oggi non sembra all’ordine del giorno. La seconda è quale sarà l’impatto “fisico” per gli americani dell’embargo imposto da Washington sulle importazioni cinesi. La terza è se si riuscirà a limitare la volatilità finanziaria.

Infine, posto lo scontro a tutto campo tra due sistemi in competizione totale, quali saranno gli impatti sulle altre aree del globo e in particolare sull’Unione europea che entra in questo scenario con il sistema industriale già in crisi.

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