Da Regno Unito, Francia e Germania sanzioni contro l’Iran. Il regime vuole un’intesa con gli USA sul nucleare. Ma Israele è pronto alla tolleranza zero
Americani e iraniani hanno bisogno di un accordo sul nucleare, ma in questo momento un accordo è ancora lontano. Troppo distanti le posizioni ufficiali. Così, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, rimane il pericolo di un nuovo attacco israeliano all’Iran, per scongiurare che l’arricchimento dell’uranio sfoci nella costruzione di un ordigno nucleare che metterebbe in difficoltà Tel Aviv.
La decisione di Regno Unito, Francia e Germania di attivare le sanzioni contro l’Iran, dopo il fallimento del negoziato tra europei e iraniani, conferma le difficoltà del momento, anche se alla fine gli ayatollah sanno che le vere trattative si fanno con gli americani. Per il regime di Teheran ne va della sua sopravvivenza: è sempre più debole e non può permettersi un altro passo falso.
Gli europei tornano a sanzionare l’Iran per le violazioni dell’accordo sul nucleare. Sembrava che dovessero costruire un ponte per un negoziato con gli USA e invece tutto è precipitato. La situazione si sta nuovamente inasprendo?
Dopo l’attacco israeliano e il bombardamento americano, il governo iraniano e il Paese si erano ricompattati, per un momento, dietro le bandiere dell’Iran. Questo effetto, però, è svanito rapidamente. Ora il regime è tornato a mostrare tutta la sua debolezza: finita la paura sono rimasti i fatti, e cioè che Israele ha distrutto una buona parte della difesa aerea e ucciso una serie di leader politici e militari. La credibilità del regime, insomma, è venuta meno, tanto che gli ayatollah hanno anche mollato su alcuni temi, per esempio consentendo alle donne di uscire senza velo.
Resta però in sospeso la questione del programma nucleare: che posizione hanno assunto i mullah?
La questione è rimasta aperta, aggravata dal fatto che l’economia rimane molto debole, ancora più di prima, anche dal punto di vista dei blackout elettrici e della fornitura dell’acqua. Il regime non può più mostrare nessuna parvenza di forza. Per quanto riguarda il nucleare, la verità è che gli iraniani non sanno bene come gestire la situazione: fanno un passo in avanti e due indietro. Ufficialmente ribadiscono che vogliono continuare a produrre uranio arricchito e chiedono a USA e Israele di rimborsare i danni prodotti dai bombardamenti.
Al di là di queste dichiarazioni, qual è il loro vero obiettivo?
Il regime ha tremendamente bisogno di arrivare a un accordo, che però deve salvaguardare la dignità del Paese, altrimenti crolla tutto. Se non si tiene conto di questo aspetto non è possibile capire la posizione di Teheran. Sono arrivati gli ispettori, che è un segno di apertura, ma non sono stati autorizzati a verificare cosa è successo ai siti nucleari.
Israele, intanto, come si sta comportando?
Israele ha ordinato nuovi aerei da rifornimento, quelli che servono per gli attacchi a lunga distanza nello Yemen e in Iran. Americani e israeliani si tengono pronti per un’eventuale altra ondata di attacchi.
In questo contesto, come si colloca il fallimento delle trattative fra l’Iran da una parte e Regno Unito, Francia e Germania dall’altra?
Gli iraniani vogliono trattare con gli americani, questo è il tema. Non si fidano degli europei perché alla fine le decisioni le prendono gli USA. In questo l’Europa mostra di nuovo la sua debolezza e la sua incapacità di esprimere una leadership forte. D’altra parte, sono gli USA che impongono sanzioni più o meno severe all’Iran e sono sempre loro a finanziare Israele. Per questo il tentativo europeo vale quello che vale.
Di tornare al tavolo con gli americani, però, non se ne parla ancora: il negoziato è lontano?
Gli iraniani hanno estremo bisogno di sedersi al tavolo delle trattative, perché la situazione sta sfuggendo loro di mano. Ma questa considerazione vale anche per gli americani, perché sanno che i siti nucleari sono stati bombardati, ma che gli iraniani possono ricominciare ad arricchire l’uranio: hanno il know-how per farlo. È una vicenda nient’affatto chiusa, che deve avere uno sbocco. C’è estrema necessità, da entrambi i lati, di confrontarsi, anche se non si capisce bene quale possa essere il punto di equilibrio.
C’è un’ala moderata del regime che sembra orientata a un accordo, ma è anche vero che incide fino a un certo punto: il Paese ha conosciuto un aumento considerevole delle esecuzioni capitali. Sta prevalendo l’anima più dura del regime?
Succede che, da una parte, si molla su qualcosa, ma dall’altra si controbilancia con una stretta sulla repressione: si liberalizza qualche aspetto sul fronte civile, ma si intensifica la lotta contro l’opposizione interna, aumentando le esecuzioni.
I rumors dicono che l’Iran vuole uscire dal trattato di non proliferazione delle armi nucleari: un segnale ulteriore che un accordo rimane difficile?
Non credo che interessi molto né agli israeliani né agli americani, perché gli iraniani hanno arricchito l’uranio anche quando aderivano all’accordo.
La guerra, comunque, è uno scenario ancora possibile?
Un secondo attacco israeliano non è da escludere: ci sono alcuni elementi che ce lo fanno anche credere. Però penso sia interesse di entrambe le parti, americani e iraniani, arrivare a un accordo. Oggi le posizioni sono molto distanti: gli USA chiedono che l’Iran non arricchisca più l’uranio; gli iraniani, invece, vogliono continuare a farlo e chiedono un risarcimento per i danni subiti e l’assicurazione che non verranno più attaccati. Credo, però, che si debba trovare una qualche forma di intesa, altrimenti l’embargo contro l’Iran potrebbe essere rafforzato e, per il Paese, sarebbe una sciagura. Finora gli iraniani sono riusciti a vendere il loro petrolio sottobanco a cinesi e indiani, ma la situazione potrebbe peggiorare.
Nell’attacco degli israeliani agli Houthi è rimasto ucciso il primo ministro che fa capo alla formazione filo-iraniana. Un segnale anche per Teheran?
Israele, dopo il 7 Ottobre, si è accorto di aver commesso un errore. Quando Hamas, Hezbollah o gli Houthi lanciavano qualche missile, l’IDF rispondeva, ma non si preoccupava più di tanto degli attacchi nemici. Ora, per evitare pericoli, ha scelto la strategia della tolleranza zero: la difesa israeliana è completamente cambiata. Per questo o si arriverà a un accordo, oppure è probabile che gli israeliani siano pronti a un nuovo attacco.
(Paolo Rossetti)
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