La Libia di nuovo al centro del mercato energetico. Ha il miglior petrolio come qualità, ma vuole aumentare la produzione da 1,5 milioni a 2 milioni di barili al giorno e sfruttare meglio le risorse, visto che gran parte del territorio non è stato ancora esplorato. Per questo fa gola a diverse compagnie petrolifere. Un interesse che in Occidente si è ancora più accentuato da quando nel Paese la Russia sta accrescendo la sua influenza in Cirenaica, per ampliare la sua presenza militare e per mettere gli occhi, con la Rosneft, sul gas libico.
La Libia, spiega Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e Affari Italiani, sta diventando terreno di scontro fra turchi e russi, anche se Ankara ora ha gli strumenti per tenere a bada Mosca, visto che l’unica via rimasta per far arrivare il gas russo in Europa è il Turkstream, che passa proprio per la Turchia. Insomma, fra Tripoli e Bengasi si sta giocando una complicata partita a scacchi a livello economico e geopolitico, in cui anche l’Italia ha la sua parte: con l’ENI è il principale partner libico per l’energia.
Il presidente della NOC (National Oil Company) Farhat Bengdara si è dimesso. La stessa azienda è impegnata in una gara d’appalto che mette a disposizione 22 nuovi blocchi di esplorazione. Cosa sta succedendo?
C’è un rinnovato interesse per la Libia dal punto di vista energetico, che va di pari passo rispetto a quello politico. Il Paese è tornato a essere una priorità per i vari attori internazionali perché, in primo luogo, è aumentato l’impegno russo. Sappiamo che Mosca sta cercando delle basi nel Mediterraneo e che ha scelto di sviluppare un’alleanza più sinergica con Haftar per impiantarle in Cirenaica. E questo sta scatenando reazioni anche all’interno delle stesse forze che fanno capo ad Haftar.
Ovvero?
Non tutte le tribù e le milizie che sostengono Haftar sono contente del maggior peso che la Russia si sta autoattribuendo all’interno dell’Est della Libia. Una circostanza che sta producendo un attivismo anche nell’altro campo, quello occidentale, nel senso sia dell’Ovest della Libia che dei Paesi occidentali, che vogliono contrastare l’eventuale aumento di influenza russa sul Paese.
In Libia agiscono l’ENI, la spagnola Repsol, l’inglese BP, l’austriaca OMV, ma si parla anche di un interesse della russa Rosneft per il gas libico. Significa che alla fine la Russia non vede la Libia solamente come una base militare?
Ci ricolleghiamo a quanto detto prima: dove c’è un interesse politico c’è anche un interesse energetico. La Rosneft è un’azienda direttamente collegata al Cremlino, come Gazprom e altre società russe del settore. Putin vuole avere la possibilità di impiantare nella Libia orientale le sue basi nel Mediterraneo, ma anche fare affari con il gas, perché averne a disposizione non fa mai male. Alla Russia non manca, ma più ne ha e più ne può esportare. Stringere un patto per il gas, poi, vuol dire legarsi ancora di più con Haftar. Putin sta pensando a un doppio patto con lui, di natura militare ma anche economica.
Per le nuove possibilità di esplorazione dei giacimenti c’è l’interesse di molte aziende del settore petrolifero, ma chi sono i veri attori della partita energetica in Libia?
Se dobbiamo dirla tutta, in questo momento l’unico vero attore che a livello energetico riesce a influire molto è l’ENI, non soltanto per la quantità di gas e petrolio che riesce a esportare dalla Libia, ma perché di fatto è l’unica grande azienda occidentale che è rimasta a lavorare nel Paese e può vantare rapporti pluridecennali, che risalgono ai tempi non solo di Gheddafi, ma anche prima. In questo contesto ENI ha un know-how che nessun’altra azienda ha. Ci sono altri attori in campo, ma non hanno lo stesso peso.
L’interesse per il petrolio e soprattutto per il gas, però, in questo momento è molto alto per tutti, non solo per l’Italia. Tenendo conto di questo elemento, che ruolo ha adesso la Libia nel mercato?
In questo momento l’Europa ha bisogno del gas come il pane. Bloccati i rapporti con la Russia a livello energetico, soltanto il Turkstream può portare il gas russo in Europa. Se anche la guerra in Ucraina dovesse finire quest’anno, i rapporti con la Russia non potranno riprendere, perché materialmente i gasdotti sono inutilizzati o distrutti, come nel caso del Nord Stream nel Baltico. La Libia da questo punto di vista per l’Europa ha due vantaggi: è molto vicina, perché basta allargare lo sguardo poco oltre il Mediterraneo e c’è la possibilità di scoprire altri giacimenti, perché ci sono ancora tanti territori che dal 2011 non sono stati esplorati. Poi il Paese è caduto nella guerra civile e dunque non si è potuto operare come in precedenza.
I russi hanno spostato in Libia parte del materiale militare che avevano in Siria, ma da lì se ne sono andati perché la Turchia, attraverso HTS, ha fatto cadere Haftar. Russi e turchi, però, si ritrovano faccia a faccia anche in Libia, i primi appoggiando Haftar, i secondi Dbeibah: il Paese potrebbe essere teatro di uno scontro fra Mosca e Ankara?
In linea di massima sì. Erdogan è molto bravo a provocare gli alleati, ma agisce facendo bene i suoi calcoli. E infatti i rapporti turco-russi in questa fase sono molto a vantaggio di Ankara. La Turchia sa bene che la Russia non può replicare in questo momento, per due motivi: sta concentrando enormi risorse nella guerra in Ucraina, tanto che non ha potuto difendere Assad; inoltre, l’unico corridoio che porta il gas in Europa ora è il Turkstream, che passa proprio dalla Turchia.
Quindi il coltello dalla parte del manico ce l’ha Erdogan?
Erdogan è consapevole di poter provocare la Russia senza subire ritorsioni, perché Mosca in questo momento non può andare contro la Turchia. E la dimostrazione è data dal fatto che negli ultimi mesi ci sono stati dei riavvicinamenti tra Haftar e i turchi. Lo dicono le foto di generali turchi a colloquio con i figli di Haftar a Bengasi e a Istanbul, durante una fiera della difesa che si è tenuta a dicembre.
Come mai Haftar accetta di dialogare con i turchi?
È un vecchio volpone, sa che se si aggancia unicamente alla Russia rischia di fare la fine di Assad e quindi cerca di diversificare le alleanze. Sicuramente continua a essere forse l’unico alleato dei russi nella regione, al tempo stesso riconosce che ha bisogno anche dell’ombrello turco. La Turchia glielo offre perché sa che la Russia non potrà reagire, erodendo così un po’ del potere russo in Libia.
Alcuni analisti sostengono che c’è la possibilità di un nuovo scontro tra Est e Ovest della Libia, quindi tra Dbeibah a Tripoli e Haftar a Bengasi. È un rischio concreto?
Lo scontro favorirebbe i russi, perché se Haftar attacca l’Ovest si allontana dall’Est e Putin ha più possibilità di azione in Cirenaica per consolidare le sue basi. All’Occidente, invece, in questo momento, forse conviene lo status quo, con una Libia frazionata. Non credo, comunque, che Haftar abbia intenzione di ripetere l’errore del 2019, non vuole spendere gli ultimi anni della sua vita in una battaglia che è già persa.
Dal punto di vista politico gli sforzi per cercare punti in comune fra Est e Ovest e ricostituire l’unità del Paese sono già passati nel dimenticatoio?
Qualche mese fa almeno c’erano alcune ipotesi sul tavolo, adesso nemmeno quelle. Non ci sono né novità, né proposte da parte dell’ONU o di altri attori interni per un percorso condiviso che punti alle elezioni. Si va avanti da separati in casa, per inerzia. Tutti stanno proteggendo i loro affari mantenendo lo status quo.
(Paolo Rossetti)
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