in questa estate 2025 arrivano più migranti che nel 2024 ma meno rispetto al 2023. Il governo deve aumentare l'attenzione sulla Libia
I numeri dei migranti in arrivo sono lievemente superiori a quelli del 2024, ma non sono equiparabili a quelli del 2023. È un anno indecifrabile, “ci sono momenti in cui tutto appare tranquillo, altri invece in cui si raggiungono importanti picchi di sbarchi”, spiega Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver e Affari italiani.
E infatti il governo appare più preoccupato dalle decisioni dei giudici, che tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale tengono costantemente sotto tiro le scelte di politica migratoria dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Tuttavia è un fatto che i centri di Shengijn e Gjader previsti dal memorandum Italia-Albania, concepiti come strumento di deterrenza, fungono come Centri di permanenza rimpatri (CPR) esterni, ma non scoraggiano le partenze.
In questo contesto, nel quale la Grecia ha rapporti con l’ex Jamahiriya molto più tesi dei nostri, è importante che la Libia rimanga il “sorvegliato speciale”, perché a Tripoli potrebbero presto esserci sorprese. E Almasri non c’entra.
L’aumento verticale degli sbarchi in Grecia, che ha indotto il governo Mitsotakis a varare in fretta uno stop di tre mesi alla presentazione delle domande di asilo, deve farci temere uno scenario simile anche in direzione delle coste italiane?
Credo che le dinamiche che si stanno osservando nel Mediterraneo orientale riguardino unicamente la Grecia. Atene in questo momento è ai ferri corti con tutti gli attori libici, da Tripoli a Bengasi. Il motivo è da rintracciare negli accordi che la Libia ha sottoscritto con la Turchia per una zona economica esclusiva (ZEE) libico-turca che di fatto isola e taglia l’area di pertinenza greca. Il governo di Atene ha mandato a largo anche delle navi militari e ovviamente non ci sta a subire passivamente la situazione. Da qui, tutti i recenti fatti e, probabilmente, una maggiore pressione migratoria sulla Grecia.
Qual è la tua lettura dei flussi che ci riguardano direttamente?
Per quanto riguarda l’Italia, il 2025 per adesso è un anno piuttosto indecifrabile: ci sono momenti in cui tutto appare tranquillo, altri invece in cui si raggiungono importanti picchi di sbarchi. Complessivamente, si ha un leggero aumento rispetto al 2024, ma si è ben lontani dalle cifre del 2023, le più alte in assoluto.
Qualcuno ha scritto che gli sbarchi stanno avvenendo ma il governo non ne parla. È vero?
Anche volendo, nascondere gli sbarchi è impossibile. Sono fatti oggettivi, rendicontati dalle varie autorità locali dove si registrano approdi, con dati che vengono poi inseriti nei database del ministero dell’Interno. Credo che la poca attenzione mediatica rispetto agli anni passati sia da ascrivere al fatto che, come detto in precedenza, si è lontani dai picchi del 2023. Dunque, anche un minimo aumento non sta suscitando allarme o scalpore.
Il fronte migratorio del governo appare più interno che esterno. L’accordo Italia-Albania è stato criticato dalla Cassazione; il trattenimento nei CPR è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale; e non sono capitoli chiusi. Cosa dobbiamo aspettarci?
Non credo sia positivo che un problema così importante venga circoscritto in mere dinamiche politiche e giudiziarie interne. Purtroppo sull’immigrazione a livello politico sussistono importanti interessi: è un fenomeno avvertito dalla popolazione e dall’elettorato, per cui si perde spesso tempo nel trasformarlo in cartina di tornasole per questa o quell’altra parte politica. È una dinamica che dovrebbe riguardare tutti i partiti, nessuno escluso.
I centri di Shengijn e Gjader di fatto vengono utilizzati come CPR esterni. L’accordo Italia-Albania sta funzionando?
I centri accolgono migranti, questo è un fatto. Ma è anche un fatto che non stanno servendo come elemento di deterrenza, principale funzione a cui il governo credeva quando ha messo in campo la loro costruzione. L’intento era scoraggiare nuove partenze per via della prospettiva di non approdare in Italia, ma in un Paese terzo. I barconi però partono ugualmente.
La Libia sta attraversando una fase magmatica e incerta. Come si spiega lo sgarbo subito a Bengasi dalla delegazione Ue, di cui faceva parte anche Piantedosi?
Si tratta di un doppio segnale politico. Uno esterno e diretto principalmente all’Ue e anche alla Grecia, per i motivi descritti sopra. L’altro invece è diretto all’interno e ha come obiettivo, da parte di Haftar padre e dei suoi figli, di far capire in Libia chi comanda e chi può fronteggiare faccia a faccia anche una delegazione europea.
Finora l’interlocutore dell’Italia in Libia è stato il governo di Tripoli. Potremmo dover cambiare alleanze a favore di Bengasi?
L’Italia riconosce unicamente Tripoli e i rapporti con Tripoli sono ottimi. Occorre però capire cosa accadrà nella capitale libica nelle prossime settimane e tenersi pronti per eventuali nuovi equilibri che potrebbero imporsi al suo interno.
Diritti, oil & gas e interesse nazionale vanno saputi conciliare. Gli sviluppi del caso Almasri possono complicare la nostra presenza in Libia, oppure avranno ripercussioni solo di politica interna?
Come per Bija e per altri casi simili, non credo che simili situazioni andranno a incidere nei complessivi rapporti bilaterali tra i due Paesi. Proprio in virtù degli interessi nazionali citati.
(Federico Ferraù)
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