L’UE dovrebbe integrarsi sempre di più con l’obiettivo di diventare autonoma dagli USA nella difesa. Seguendo Monnet e Mattarella
Il tema della difesa comune europea è di scottante attualità a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, il cui terzo anniversario è ricorso il 24 febbraio; ma lo è ancora di più alla luce dei recenti sviluppi politici, segnati dalla lite avvenuta fra il presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky venerdì sera nello Studio ovale. Di fronte a ciò, come può reagire l’Europa per essere incisiva?
È necessario che l’Unione Europea dia una spinta significativa al processo di integrazione al fine di rendersi indipendente dagli USA. È la tesi principale sostenuta da Glyn Morgan, professore prima ad Harvard e poi alla Syracuse University di New York, nel testo del 2005 dal titolo The Idea of a European Superstate, scritto di filosofia politica che analizza in maniera puntuale e precisa gli argomenti favorevoli e contrari all’integrazione europea di stampo federalista.
Nel testo vengono trattati in maniera rigorosa vari aspetti del dibattito contemporaneo, dal nazionalismo al welfare. Qual è, però, la tesi centrale, quella che sorregge l’architettura del testo e ne plasma il senso complessivo?
L’UE dovrebbe integrarsi sempre di più con l’obiettivo di diventare militarmente indipendente dagli Stati Uniti d’America. Per più di settant’anni, infatti, la potenza militare americana ha garantito all’Europa sicurezza e pace anche durante i momenti di maggiore tensione della Guerra fredda. Ma le prospettive geopolitiche sono mutevoli e non necessariamente gli interessi di Washington coincideranno sempre con quelli di Bruxelles, e l’Europa, di fronte a un’amministrazione americana isolazionista, rischia di trovarsi priva di autonomia strategica e dunque incapace di esprimere posizioni proprie, siano queste in sintonia o distonia con quelle statunitensi.
Sulla stessa linea si è assestato Mario Draghi, in un discorso tenuto al Parlamento europeo di Bruxelles il 18 febbraio. L’ex presidente della Banca centrale europea ha convintamente asserito, per quanto concerne la questione della difesa unica, che “la portata dei problemi supera di gran lunga le dimensioni dei nostri Paesi” e che, oltretutto, non è possibile dire di no a tutto, dal debito pubblico comune all’unione dei mercati dei capitali. In conclusione, per massimizzare le proprie potenzialità, “l’Unione deve agire come se fosse uno Stato unico”.
L’Ue ha sicuramente dimostrato volontà e capacità di azione in diversi ambiti: l’istruzione e la formazione, soprattutto grazie al programma Erasmus+, destinato a studenti desiderosi di trascorrere un periodo di studio o lavoro in un Paese europeo diverso dal proprio; la ripresa economica e strategica in seguito alla pandemia da Covid-19, incentivata dal Next Generation EU e dalla prima emissione di debito comune europeo sui mercati globali. Problemi di rilevanza epocale, come la questione migratoria e la sostenibilità ambientale, stanno venendo affrontati sempre di più nelle sedi istituzionali di Strasburgo e Bruxelles.
Da un punto di vista militare, tuttavia, l’Europa è ancora parecchio indietro. Il problema da porre è quindi il seguente: come organizzare un sistema di difesa efficiente ed efficace? Oltre a nuovi investimenti nazionali ed europei in campo militare, sicuramente procedendo in maniera graduale e progressiva, sulla scorta della teoria funzionalista di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Ue e sostenitore di un’integrazione lenta e graduale per giungere, in ultima istanza, al federalismo europeo.
Ogni Stato membro può mettere a disposizione una parte consistente delle proprie risorse, che andranno poi gestite direttamente dalle istituzioni europee in coordinamento costante con gli Stati nazionali, organizzando parallelamente anche esercitazioni congiunte dirette da vertici militari nominati direttamente dalla Commissione europea. Con lo scopo di integrare, in un primo momento, la logica di azione europea con quella nazionale, e, in un secondo tempo, di superare quest’ultima, così da rendere possibile e realistico centralizzare la produzione industriale e superare pian piano un apparato militare nazionale per giungere alla definizione di uno europeo, in modo da bilanciare, in maniera equilibrata, abilità diplomatica e capacità di deterrenza.
A questa difesa unica potrà contribuire, ragionevolmente, seppure con modalità e tempistiche differenti, anche il Regno Unito, tramite nuovi accordi di cooperazione. È significativo e degno di nota che il lavoro sinergico messo in atto dagli Stati europei per potenziare la diplomazia del Vecchio continente con l’America abbia coinvolto anche il Regno Unito, a riprova che non vi è vera sovranità nella solitudine e che la “sovranità europea”, come è stata definita il 2 giugno dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nulla toglie alla sovranità degli Stati nazionali; semmai, la rafforza.
Starà dunque agli attori politici e istituzionali, nonché a quelli della società civile, fare fronte a queste sfide e portare innovazione e cambiamento nel turbolento scenario geopolitico attuale. Per un’Europa che unisce gli Stati nazionali e che, al contempo, li trascende. Per un futuro più europeo.
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