Nella scuola superiore il calo delle iscrizioni al classico e allo scientifico ha messo in crisi il latino. Il "riscatto" può venire dalle medie?

Negli ultimi quindici anni lo studio del latino ha conosciuto un declino costante. Il liceo classico, un tempo vertice dell’istruzione umanistica, ha visto dimezzarsi le iscrizioni: dall’8% degli studenti nel 2010 al 5,34% nel 2024-25 e al 5,37% nel 2025-26. In termini assoluti, si è passati da circa 46mila iscritti a meno di 28mila, una riduzione di quasi il 40%.



Anche il liceo scientifico tradizionale, dove il latino resta obbligatorio, è sceso dal 21,1% al 13,7%, mentre l’opzione scienze applicate – che ne fa a meno – è triplicata, passando dal 3,8% all’11,9%. Nelle scienze umane, l’indirizzo con il latino si ferma al 7,46%, mentre quello economico-sociale, senza latino, raggiunge il 4,21%.



I numeri mostrano una tendenza netta: gli indirizzi che prevedono il latino arretrano, quelli che lo escludono avanzano. Le famiglie privilegiano percorsi percepiti come più concreti, gli studenti cercano competenze immediatamente spendibili e la scuola tende a orientarsi verso la contemporaneità.

È in questo scenario, al di là della propaganda mediatica e degli stereotipi nazional-popolari, che ha preso forma la proposta di introdurre il latino come materia opzionale alle scuole medie. L’idea, promossa da una parte del mondo accademico e culturale e propugnata tenacemente dal ministro Valditara, viene presentata come un rafforzamento delle competenze linguistiche e logiche, ma porta con sé anche un intento più ampio: restituire centralità a una tradizione che negli ultimi anni ha perso terreno, anche come strumento di un nuovo rafforzamento dell’identità nazionale in una società sempre più liquida.



Il progetto prevede un’ora settimanale di latino e la creazione di una nuova classe di concorso, denominata LEL (Latino per l’Educazione Linguistica). L’obiettivo dichiarato è avvicinare i ragazzi alla struttura della lingua e al pensiero logico. Tuttavia, la proposta solleva perplessità nel contesto attuale della scuola media italiana.

Eppure, oggi, i fondi sembrano disponibili per introdurre un’ora di latino, con docenti specializzati e un impianto curricolare gestito – naturalmente – dalle università italiane.

Seconda Prova Maturità, la versione di latino (ANSA 2023, Claudi Peri)

Dietro questa apparente innovazione si intravede la reazione di un mondo accademico sempre meno centrale. La crisi delle iscrizioni al classico e alle facoltà di lettere ha ridotto le cattedre universitarie e impoverito un settore da sempre dominato da logiche baronali. Ora la scuola media diventa il nuovo campo d’azione: nuovi corsi di abilitazione, master, fondi dedicati. Un circuito chiuso che risponde più a logiche di conservazione interna che a bisogni formativi reali.

Inoltre, negli ultimi anni, il forte calo demografico e la crescente presenza di studenti con genitori stranieri hanno trasformato la fisionomia delle classi. Le aule si sono fatte sempre più eterogenee, popolate da bambini e ragazzi che parlano a casa lingue diverse dall’italiano: arabo, romeno, cinese, spagnolo e molte altre. La scuola media, in molte aree del Paese, è oggi il luogo dove si costruisce la prima vera integrazione linguistica e culturale.

Alla luce di questa realtà, l’introduzione del latino rischia di non rispondere ai bisogni concreti delle nuove generazioni. Più che aggiungere una lingua morta, molti insegnanti e dirigenti scolastici sottolineano la necessità di rafforzare la lingua viva, l’italiano, come strumento di apprendimento, comunicazione e inclusione.

Vale la pena ricordare che nel 2008 un’ora di italiano fu tagliata per esigenze di bilancio e non è mai stata recuperata. Oggi, le risorse previste per un’ora opzionale di latino potrebbero essere investite in un’ora aggiuntiva di lingua italiana, dedicata al recupero per chi è in difficoltà o al potenziamento per chi mostra maggiore padronanza.

Il latino può e deve restare un pilastro della nostra tradizione culturale, ma la scuola del presente vive un’altra urgenza: quella di garantire a tutti, italiani e no, la piena padronanza della lingua comune. Solo così l’educazione linguistica potrà diventare davvero uno strumento di partecipazione, uguaglianza e cittadinanza.

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