È facile entusiasmarsi per il latino alle medie, come è difficile separarsene. La verità è che la sua difficoltà impopolare non piace alle famiglie
Ancora latino, staranno chiedendosi in molti. In realtà, forse attraverso questa polemica potrebbero emergere alcune questioni pedagogiche ed educative fondamentali.
Intanto preme sottolineare che la questione del latino alla scuola secondaria di primo grado è in diretta comunicazione con l’altra, sicuramente più rilevante, della caduta verticale delle iscrizioni al liceo classico e al liceo scientifico “tradizionale”, due tipologie di scuola che hanno rappresentato dal Dopoguerra ad oggi un modello non solo di istruzione qualificata ma, in molti casi, piaccia o non piaccia, uno strumento di ascensione sociale.
La caduta libera degli iscritti al liceo classico e allo scientifico è un fenomeno anomalo nel Paese latino per eccellenza, di fronte, peraltro, a un grande interesse per gli studi classici in molti Paesi europei e negli Stati Uniti.
Per molti decenni in Italia i licei “con il latino” sono stati scelti da giovani appartenenti ad élites, ma anche da studenti “eccellenti” provenienti da contesti popolari, homines novi, per dirla alla latina appunto.
Si è detto, e gli esiti lo hanno confermato, che un buon liceo potesse rappresentare uno strumento non solo di buona cultura, ma anche adeguato a consentire di svolgere con successo e in tempi regolari gli studi universitari, scientifici od umanistici che fossero.
Ora il panorama è decisamente mutato: i giovani provenienti da contesti elitari prediligono scuole internazionali in cui il core curriculum è rappresentato dalle lingue straniere moderne, da studi finanziari o scientifici di alto profilo. Tendono a non scegliere percorsi con il latino studenti provenienti da contesti socio-culturali meno elevati, raramente studenti di origine non italiana.
Quali le cause?
Prima questione: il latino nella scuola superiore continua ad essere una disciplina che richiede impegno, dedizione, disciplina ancora fortemente selettiva, quasi quanto la matematica. Ma della matematica la modernità non può fare a meno. E del latino?
Non è che i primi ad aver abdicato al latino siano i giovani genitori, memori sicuramente della propria fatica, ma soprattutto poco disponibili ad accompagnare le fatiche dei figli? È doveroso segnalare che i giovani virgulti hanno spesso richiesto ore di lezioni private che in un momento così critico per le famiglie potrebbero aver contribuito a far scegliere indirizzi senza latino.
Ma non è l’unica spiegazione. Purtroppo a scuola solo pochi docenti “illuminati” sono riusciti a far comprendere la ricchezza e la “strumentalità” del latino alla comprensione di altre discipline. Al tempo stesso la didattica del latino si è in molti casi arenata in rigidi meccanismi teorici, molto distanti dalle dinamiche cognitive dei nostri ragazzi; per non citare l’abnorme uso del dizionario, che ha umiliato le grandi potenzialità di memorizzazione e mortificato la ricerca e l’intuito etimologici.
L’esercizio alla traduzione di lingue antiche è riconosciuto universalmente come una delle operazioni più complesse, che implicano l’attivazione simultanea di più competenze, una richiesta che altre discipline esigono certamente, ma in un tempo più disteso.
La traduzione dal latino (e dal greco) ha una sua alta complessità fin dalle prime lezioni.
La competenza lessicale genera una consapevolezza espressiva non altrettanto acquisibile con le lingue moderne; certe categorie quali la consecutio temporum o l’uso del congiuntivo rappresentano sicuramente, insieme al concetto di “caso”, categorie di carattere logico complesse e propedeutiche all’acquisizione di altre discipline.
La “sapienza” etimologica che proviene dal latino (e ancora più dal greco) costituisce sicuramente ancora un patrimonio preziosissimo, κτήμα εις αει, possesso per sempre, ma è palese che il mondo della scuola sia ora affascinato da altre ipotesi, si pensi all’enorme promozione che viene svolta (soprattutto per recuperare l’interesse delle ragazze) verso il mondo Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).
Chi se la sente di ostacolare una scelta orientativa che offra più facilmente di altre un successo occupazionale? Che appartenga al mondo della “conoscenza del futuro”?
Chi soprattutto se la sente di mettere i nostri adolescenti di fronte all’esperienza della fatica e dell’insuccesso?
È quindi, il latino?
La proposta di spendere qualche ora alla scuola media appare critica: ricordiamo tra l’altro che essa risulta totalmente disincarnata dalla storia (visto la scelta discutibile di collocare la storia antica e quindi la civiltà latina al termine della scuola primaria) e soprattutto rischia un approccio necessariamente semplicistico, incapace di promuovere quelle “alte competenze” di cui sopra.
Il timore è addirittura un effetto boomerang, che cioè una didattica improvvisata generi una diffidenza profonda per una disciplina “difficile” e quindi un’ulteriore fuga dai licei scientifici e classici.
Interessante ma non risolutivo è stato il tentativo, peraltro ad avviso di chi scrive molto discutibile, dell’approccio al latino come lingua viva.
È il tentativo proposto dal metodo Orberg, ben accolto attorno agli anni duemila, ma ora meno diffuso.
Si tratta di un metodo, promosso da uno studioso danese e inizialmente accolto favorevolmente anche da studiosi italiani, che suggerisce per la lingua latina un approccio “vivo”, analogo a quello delle lingue moderne. Una sfida didattica interessante che tuttavia, dopo i primi entusiasmi, è rimasta proposta di nicchia.
Occorrerà riflettere approfonditamente anche paragonandoci ai modelli europei e globali in cui, pur in uno stato di minorità, il latino continua ad essere presente in alcuni curricula di prestigio. Sia nel mondo germanico che in quelli elvetico e anglosassone il latino continua ad essere inserito fra le opzioni che generano una formazione di qualità, prodromica a studi accademici prestigiosi.
Si tratta tuttavia di curricula riservati a un numero relativamente ristretto di studenti. Forse è più realistico arrendersi a questi modelli che inserirlo nella scuola “dell’obbligo”.
Resta il tema che abbiamo introdotto all’inizio: quanto le famiglie italiane sono disposte ad accompagnare i figli in esperienze formative che richiedano impegno, dedizione, costanza?
Non di tratta di vivere semplicemente il derby tra latinisti e non, ma di riflettere, a partire dalla scelta del latino nella scuola media, sul modello di scuola per il futuro.
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