Ricucci risponde a Baroni sull’introduzione del latino facoltativo alle medie. È una proposta affascinante ma inutile per colmare le lacune degli studenti
Caro direttore,
ringrazio il collega Baroni per l’attenzione riservata alla mia lettera, ma confermo la mia opinione; c’è qualcosa di preoccupante nel modo retorico in cui si parla di scuola oggi.
Nelle aule delle nostre scuole medie, di stelle non se ne vedono più. Si vedono muri scrostati, computer che non si accendono, laboratori chiusi, e ragazzi che faticano a leggere un periodo con due subordinate. Eppure, colleghi docenti e commentatori attribuiscono al latino poteri taumaturgici. Secondo loro, basterebbe reintrodurlo per restituire profondità al pensiero, bellezza al linguaggio e consapevolezza all’anima.
È la nuova religione laica del rigore perduto, officiata da chi confonde il fascino della classicità con una cura educativa. Ma il latino non è un sacramento: è una lingua, e una lingua morta, a meno che si voglia cedere alla “favoletta” che l’italiano sarebbe un latino stagionato dai secoli.
Ricorrere alle etimologie, latine o greche, per spiegare la storia delle parole che usiamo non dice nulla della necessità di un’ora supplementare di latino, è normale (e auspicabile) cultura professionale di chi insegna.
La scuola reale racconta di classi eterogenee, di tredicenni che parlano più lingue madri che italiano, di studenti che non sanno riassumere un testo né comprendere un articolo di giornale. In molte scuole si lavora con risorse minime, tra cattedre vacanti, supplenze a rotazione e laboratori chiusi per mancanza di personale. E mentre la scuola reale arranca, quella ministeriale sogna di restaurare l’antico splendore con un’ora facoltativa di latino alla settimana.
Il problema non è se il latino “serva” o “non serva”, ma se la scuola media possa permettersi di introdurre un’ora di latino quando non riesce più a insegnare l’italiano. Le prove INVALSI lo dicono ogni anno: quasi 4 studenti su 10 non comprendono testi di media difficoltà, e in alcune regioni del Sud la percentuale supera la metà.
Questa è la realtà quotidiana dei docenti, che cercano di insegnare la lingua madre a ragazzi disabituati a leggere, distratti, spesso smarriti. Ragazzi che non hanno bisogno di un’ora in più di grammatica latina, ma di un’ora in più di fiducia.
Certo, è lodevole che il ministro Valditara abbia posto attenzione all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri non italofoni nelle scuole, anche se le risorse purtroppo non sono adeguate al reale fabbisogno. Eppure la “scuola ministeriale” che si contrappone da decenni alla scuola reale del Paese continua a parlare di “umanesimo”, di “radici”, di “rigore”. Belle parole, ma vuote, se calate in un contesto in cui un tredicenne non distingue un soggetto da un complemento oggetto.

Prima di discutere se il latino possa “allenare la mente”, bisognerebbe chiedersi se la mente, in certe condizioni, abbia ancora gli strumenti linguistici per allenarsi. Il mito del latino come via per “imparare a pensare” è antico e tenace, ma privo di fondamento empirico.
I sociologi Jürgen Gerhards, Tim Sawert e Ulrich Kohler, in un loro studio pubblicato nel 2019 sulla Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie e intitolato Des Kaisers alte Kleider: Fiktion und Wirklichkeit des Nutzens von Lateinkenntnissen (“Gli abiti nuovi dell’imperatore: finzione e realtà dei benefici delle conoscenze di latino”), analizzando migliaia di studenti tedeschi, hanno dimostrato che non esiste alcuna prova che lo studio del latino migliori il pensiero logico, le competenze linguistiche o la capacità di apprendere altre lingue.
Nessuno, nemmeno chi scrive, nega che il latino e il greco siano un capitale simbolico irrinunciabile per capire le nostre radici e vivere più consapevoli. Il tema vero è un altro: l’ imperatore continua a sfilare nudo, ma tutti fingono di ammirare i suoi abiti.
Nel Belpaese questa illusione assume la forma di una fede pedagogica: si crede che il latino, per la sola sua aura, possa nobilitare la scuola. Si confonde la cultura con la nostalgia, la lingua con il mito. Si parla di “cura dell’anima” attraverso il latino, ma si dimentica che molti studenti non hanno ancora l’alfabeto per comprendere sé stessi, figuriamoci Cicerone o Virgilio.
Invece di introdurre un’ora opzionale di latino, sarebbe infinitamente più utile introdurre un’ora opzionale di italiano in più che la riforma Gelmini decurtò anni fa: dedicata al recupero per chi è in difficoltà e al potenziamento per chi ha già buone competenze.
Perché la lingua italiana, a differenza del latino, accompagnerà questi ragazzi per tutta la vita. È lo strumento che dà forma al pensiero, che consente di comprendere il mondo, di difendersi da chi manipola le parole, di esercitare la cittadinanza. Soprattutto per gli studenti stranieri appena arrivati.
La scuola media italiana è oggi la grande dimenticata del sistema: un ponte fragile tra primaria e superiore, schiacciata da burocrazia, carenza di risorse, dispersione e precarietà. È la scuola dei docenti che suppliscono ai genitori, che spiegano grammatica e insieme educano all’affettività, che cercano ogni giorno un modo nuovo per riaccendere l’attenzione di chi ha già deciso di non valere nulla. Spesso è il presidio o avamposto dello Stato nei quartieri più problematici della grandi città.
In questo scenario, parlare di latino come “cura dell’anima” suona quasi crudele. La vera cura sarebbe restituire alla lingua viva – l’italiano – la centralità che ha perduto, ridando tempo alla lettura, alla scrittura, alla discussione. Se la scuola deve tornare a essere un luogo in cui si forma il pensiero, deve partire dalle parole che i ragazzi usano ogni giorno, non da quelle che nessuno parla più.
Il latino può restare materia nobile, ma nelle condizioni attuali rischia di ridursi a maquillage culturale, un vezzo da salotto accademico che non tocca il cuore del problema.
Finché continueremo a inseguire il mito delle parole eterne, la lingua viva, quella dei nostri studenti, continuerà a morire un po’ ogni giorno.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
