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Home » Educazione » Maturità » SCUOLA/ Nel “No” all’orale di maturità un schiaffo ai burocrati, l’educazione chiede verità

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SCUOLA/ Nel “No” all’orale di maturità un schiaffo ai burocrati, l’educazione chiede verità

Domenico Fabio Tallarico
Pubblicato 14 Luglio 2025
Esame di maturità (Ansa)

Esame di maturità (Ansa)

I giovani che hanno rifiutato l’orale di maturità hanno usato contro la scuola il trattamento burocratico che essa riserva loro. E interpellano gli adulti

Gentile direttore,
ho letto con grande interesse gli articoli pubblicati riguardo ai ragazzi che hanno rifiutato di svolgere la prova orale dell’esame di maturità. Trovo alcune questioni condivisibili, ma penso sia utile ripartire dalle parole di una delle ragazze per capire meglio la questione sollevata da questi studenti.


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La loro è stata innanzitutto una provocazione e, se siamo qui a parlarne (fino a scomodare il ministro Valditara), credo che abbiano colto nel segno: hanno provocato gli adulti a rispondere a una situazione che, come ha scritto don Federico Pichetto, va ben oltre il semplice esame di maturità.

In un’intervista al Corriere della Sera, Maddalena, una delle ragazze che ha rifiutato la prova orale, ha spiegato le ragioni della sua scelta: “Sebbene nella mia scuola la parte relativa alla preparazione sia stata ottima, ritengo che sia mancata totalmente l’attenzione alle persone”.


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Che l’esame di maturità sia diventato una sorta di “marca da bollo” per ottenere il cosiddetto “pezzo di carta” è ormai evidente a tutti: un sistema di valutazione sempre più meccanico, l’inutilità del voto per il percorso universitario, il divario tra regioni che non rende giustizia all’impegno degli studenti, la traccia d’esame affidata al caso di un’estrazione, e tante altre procedure più burocratiche che educative.

Per molti, è il battesimo di un lungo percorso di concorsi (spesso discutibili) che affligge il nostro Paese.

Basterebbe eliminare il valore legale del titolo di studio per risolvere molti dei problemi della scuola, ma questo farebbe cadere quel vero potere burocratico che gestisce l’educazione in Italia.


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L’inutilità dell’esame è un problema reale, ma secondario: il vero problema della scuola (e dell’esame) è un altro, e lo spiega chiaramente Maddalena: “I docenti non guardano come sta lo studente davvero. Sono solo interessati al voto”.

Ciò che manca ai ragazzi non è l’ennesima riforma, ma qualcuno che li guardi “davvero”, qualcuno che li consideri nella loro totalità, non solo attraverso la parzialità dei voti di una disciplina.

I docenti hanno ascoltato le ragioni di Maddalena e si sono mostrati d’accordo con il gesto “ribelle” della ragazza, riconoscendo la difficile situazione che vive il mondo della scuola: “Hanno detto che essendo dentro al sistema sanno che ci sono delle cose che non vanno bene ma che cambiarle è difficile”.

Sembra che una possibilità di cambiamento sia praticamente impossibile e che possa venire solo dall’alto, da un’entità lontana come il ministero, attraverso una riforma.

La rivoluzione per la scuola è invece in quella richiesta di sguardo di Maddalena, uno sguardo che è necessario per educare.

Senza questo sguardo benevolo e totalizzante nei confronti dell’altro, come è possibile entrare ogni giorno a scuola, sia come docenti che come studenti?

Senza un’umanità nei rapporti e nelle relazioni tra alunni e docenti, è davvero possibile educare?

Maddalena ci chiede di rispondere a questa domanda, ed è una domanda difficile e provocatoria perché è rivolta a tutti gli adulti, anche a chi non fa parte del mondo della scuola.

C’è però un aspetto che non condivido dell’intervista alla ragazza: quando afferma che il problema degli adulti non dovrebbe essere diventare “amici” degli studenti. È una parola che sembra ormai bandita nei rapporti educativi; molti nel mondo della scuola teorizzano e praticano la necessità di una “distanza” per poter educare, ma credo che gli effetti di questa teoria siano ormai evidenti a tutti e abbiano ridotto l’educazione a una mera trasmissione di nozioni, concetti che ai giovani non bastano più.

Forse andrebbe riscoperto il valore e il significato della parola “amicizia”, invece necessaria per poter educare. La più grande rivoluzione umana portata da Gesù si fonda su uno sguardo pieno di bene nei confronti dell’altro e sulla trasmissione di questo bene attraverso amici, non servi o subalterni. Solo in uno sguardo così è possibile eliminare qualsiasi pretesa o performance, valorizzando il talento di ognuno in base alle proprie capacità e possibilità.

È impossibile educare senza un legame vero e forte tra docente e studente, un legame che richiede una definizione di ruoli e responsabilità, ma anche una vicinanza attraverso cui poter trasmettere istruzione, amore per la disciplina di insegnamento e, soprattutto, un senso della vita e della realtà.

Il gesto di ribellione di questi ragazzi chiede una rivoluzione della scuola: non c’è bisogno di aspettare una riforma per attuarla, è già possibile.

Ci sono adulti interessati a guardarli in modo nuovo, recuperando una vera relazione educativa?

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Tags: Giuseppe Valditara

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