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Home » Educazione » SCUOLA/ Prof di italiano, letteratura e programmazione: non gli indici ma la vita al centro

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SCUOLA/ Prof di italiano, letteratura e programmazione: non gli indici ma la vita al centro

Diego Picano
Pubblicato 15 Ottobre 2025
A scuola (Ansa)

A scuola (Ansa)

La programmazione non è un adempimento burocratico: occorre individuare gli obiettivi partendo dai bisogni dei ragazzi. E la letteratura...

Chi insegna sa che in questi giorni a scuola non solo è impegnato con i primi collegi e i dipartimenti, ma è occupato anche con la stesura della programmazione. I docenti, infatti, sono chiamati a pianificare e a prestabilire i nuclei principali della propria disciplina, la loro scansione temporale durante l’anno scolastico; a definire gli obiettivi finali, intermedi, immediati che riguardano l’area cognitiva, l’area non cognitiva e le loro iterazioni; a organizzare le diverse attività didattiche e i contenuti in relazione agli obiettivi stabiliti; a individuare i metodi, i materiali, i sussidi adeguati.


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La programmazione è una prassi che può trasformarsi, però, in una serie di operazioni burocratiche e sterili da compiersi entro il mese di ottobre, di cui non si comprende più l’autentico significato.

Noi docenti continuiamo ad essere convinti, soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado, che la programmazione sia l’applicazione di un programma, che ci viene imposto dall’alto; pensiamo che occorra adeguare i programmi alla classe, individuare i collegamenti interdisciplinari e le metodologie che consentono di facilitare il processo di apprendimento.


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Sono persuaso, invece, che per progettare un’attività didattica sia necessario aver presente le reali esigenze dei nostri allievi, dove li vogliamo condurre, e perché! L’orizzonte verso il quale intendiamo orientare la nostra azione non può essere staccato dai principali bisogni che ogni singolo ragazzo avverte, nel contesto sociale e culturale in cui è immerso.

I mesi di settembre e di ottobre costituiscono non solo l’inizio delle attività, ma coincidono con il periodo di osservazione e di conoscenza dei nostri allievi. Diventa fondamentale, quindi, prima di ogni tentativo di programmazione, il rapporto che si viene ad instaurare tra i docenti delle diverse aree disciplinari e gli alunni, perché attraverso la disciplina al ragazzo non venga proposto soltanto un percorso didattico, ma uno strumento rigoroso per crescere più consapevolmente nella cognizione del senso del mondo e nel confronto costante tra gli argomenti che affronta e la sua vita personale e sociale.


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L’allievo, durante l’anno scolastico, a lezione, non dovrebbe fare esperienza soltanto di nozioni ma, attraverso i dati della conoscenza, dovrebbe riuscire ad essere più consapevole del proprio percorso di vita per dare un nome a ciò che vive.

Solo un insegnamento e un apprendimento legato all’esperienza; soltanto delle proposte che facciano appello alla persona, che la chiamino in causa nella sua interezza e nel suo rapporto con la realtà, possono tenere desto il desiderio di conoscere. In questo periodo, mentre gli insegnanti pianificano e organizzano le attività didattiche, sarebbe necessario che ognuno di loro pensasse alla propria disciplina come strumento utile a far crescere e maturare i propri allievi.

Non siamo chiamati a riprodurre l’indice dei nostri libri di testo sui fogli delle nostre programmazioni, ma siamo invitati a scegliere ciò che può aiutare i ragazzi, ciò che è essenziale. Nell’Institutio oratoria, Quintiliano amava ripretere: “Non multa, sed multum”.

Anche le nuove Indicazioni Nazionali propongono l’approfondimento qualitativo dei contenuti didattici, piuttosto che la sterile accumulazione quantitativa di nozioni. Infatti, la massima latina fa da titolo a uno dei paragrafi dell’Appendice n. 2. Gli estensori di questa appendice, che costituisce un Preliminare della Commissione di studio delle Nuove Indicazioni 2025, tra molti dati e molte proposte concrete e puntuali, citano alcune frasi del pedagogista Cosimo Laneve che bene riassumono lo spirito delle riflessioni:

“Non bisogna avere la preoccupazione di insegnare tante cose […] non sempre adatte all’età dei discenti e di conseguenza mal capite e mal assimilate […] occorre, invece, avere il coraggio di fare qualche passo indietro proprio perché dobbiamo fare urgentemente molti passi in avanti. […] Non si tratta tanto di allargare, che talvolta finisce col diluire, la sostanza delle cose da sapere, bensì di incrementarla”.

Le Indicazioni intendono suggerire pratiche di “essenzializzazione delle discipline” orientate “alla revisione e al rinnovamento dei nuclei essenziali e dei curricoli”, come viene spiegato alle pagine 145 e 146. Quest’operazione non va intesa come “semplificazione”, bensì come “specificità” (in corsivo nel testo), cioè “disposizione a notare i dettagli delle proposte educative e formative”.

Studenti di scuola superiore (Ansa)

Nella loro visione, “approfondimento” e “moltiplicazione” sono posti in un’antitesi irriducibile: l’approfondimento può nascere esclusivamente da tempi distesi, che consentano a chi apprende di assumere un ruolo attivo nel processo formativo, facendo nascere in lui e in lei il “desiderio del confronto, della discussione” e permettendo dunque di “cogliere la cultura di prima mano”. L’idea che l’impostazione attuale della scuola non favorisca un simile insegnamento/apprendimento è alla base delle riflessioni.

Questo principio dovrebbe guidare la creazione del curricolo e l’organizzazione dell’attività didattica, perché suggerisce di concentrarsi sull’essenzialità, utilità e profondità del sapere per una formazione più efficace e di successo.

In questo modo, l’animo dei nostri studenti si lascerà affascinare, durante l’ora di lezione; le mani e le menti dei nostri allievi potranno abbandonare definitivamente lo schermo del loro smartphone, perché catapultati in un percorso che riconoscono veramente utile. È questo anche il presupposto della loro applicazione allo studio, come affermava Dante Alighieri nel Convivio: “Lo studio è l’applicazione de l’animo innamorato de la cosa a quella cosa” (Conv. II, XV, 10).

Non è un caso che il decreto-legge n. 127/2025, che entro l’8 novembre 2025 sarà convertito in legge dal Parlamento, segna un ritorno alla precedente denominazione di “esame di maturità” in luogo di “esame di Stato”. L’orientamento, nella prova scritta e in quella orale, è prevalentemente quello di valorizzare le competenze trasversali, l’esperienza del percorso formativo, la consapevolezza di sé. Non solamente le conoscenze e le skills specifiche di ogni indirizzo di studio, ma soprattutto il grado di maturazione, autonomia e responsabilità dello studente, in una prospettiva di sviluppo globale della persona.

Per questo motivo, continuo ad essere convinto che le ore di lingua e letteratura italiana, per quanto concerne la disciplina che insegno, debbano servire ai nostri allievi, soprattutto nel triennio delle superiori, ad incontrare la scrittura e le immagini evocate dalle parole che un testo d’autore propone.

I criteri di testualità ed essenzialità dovrebbero guidare gli insegnanti di italiano. La lettura dei testi della grande letteratura italiana, infatti, porta necessariamente a sentire le parole non come logorate, ma come nuove, o meglio rinnovate. Leggere dentro le parole non vuol dire soltanto leggere in profondità, ma con umanità. Attraverso un linguaggio che proviene da altri, impariamo qualcosa che è soltanto nostra.

Lo studente, entrando nel testo, leggendo con attenzione, non conoscerà soltanto l’opera dell’autore, ma anche se stesso; imparerà a discernere, a decidere, a prendere una posizione; svilupperà il suo pensiero critico.

La letteratura è una dimensione formativa che aiuta ad essere ciò che si è, ma che non si sapeva di essere; lo studio degli scrittori ci aiuta a ricordare chi si è. Anche per questo la letteratura diventa una disciplina trasversale e può far maturare autonomia e consapevolezza e sviluppare abilità e competenze da utilizzare nel mondo.

Prima di programmare è necessario rendersi conto che la propria disciplina è un contributo necessario alla crescita e allo sviluppo dei ragazzi; è uno strumento indispensabile per conoscere il mondo e per imparare ad interpretarlo con intelligenza e libertà.

Per programmare occorre assumersi la responsabilità dello sguardo dei nostri studenti; lo sguardo di un giovane che non è perso nel vuoto dilagante, ma che è profondamente rivolto verso un orizzonte di senso. Per questo motivo, un mio allievo di prima liceo scrive nel suo tema: “[…] dovrò imparare a studiare senza aver paura di affrontare argomenti che all’inizio sembreranno difficili. Sarà una crescita sia personale che scolastica; imparerò tanto come l’essere autonomo e imparerò ad affrontare sfide che cercheranno di ostacolare il mio percorso. […]”. I nostri ragazzi ci chiedono questo, non solo le nuove Indicazioni Nazionali!

Insieme alle nostre discipline, noi docenti diventiamo le loro guide che con “lieto volto” abbiamo l’ardua e privilegiata responsabilità di introdurli nelle “segrete cose”.

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