Giovani impegnati, ma in fondo distratti dalla vita, dalle domande sul senso. Solo lo stupore della realtà, a scuola e fuori, può ridestarli a sé stessi
A scuola, in una classe di quarta superiore, è nato un dialogo sulla morte e la sua estrema solitudine. Ognuno di noi, anche se accompagnato, in quel momento particolare è solo, come Gesù stesso grida nel Vangelo un attimo prima di morire. Ho proposto agli studenti di guardare due brevi video che raccontano la storia di Guidalberto Bormolini, fondatore di una comunità che tra le altre cose accompagna i malati terminali nel periodo finale della vita, e dei Quadratini, compagnia di amici malati guidata da don Eugenio Nembrini.
Le esperienze viste hanno messo a tema in modo potente la drammaticità della morte, ma nello stesso tempo un modo diverso rispetto al modo di affrontarla tipico del mondo in cui viviamo.
Nel dialogo con i ragazzi sono rimasto molto colpito da alcuni interventi. Un alunno, uno di quelli che normalmente si fa i fatti propri durante le lezioni, ha alzato la mano e ha detto: “Io non ci penso a queste cose, io mi distraggo e vivo la vita nell’istante”.
Mi ha stupito la serietà e la verità con cui ha affermato questo suo modo di vivere; la sua affermazione è risuonata come una una vera e propria proposta ai compagni e al tempo stesso una provocazione.
Dopo il dialogo in classe ho ripensato molto a questa frase per me nuova, perché non parliamo di ragazzi disimpegnati dalla vita: studiano, fanno calcio in modo appassionato, vanno in discoteca il sabato sera con gli amici. Hanno anche un sano senso del dovere nei confronti di scuola e genitori, ma al fondo c’è una distrazione. E non è semplicemente una distrazione dalla morte – esperienza ormai esclusa dalla nostra società –, ma dal senso profondo dalla propria vita.
Molti hanno creato una bolla in cui poter vivere senza troppi problemi. Poi è chiaro che la bolla può rompersi per tanti motivi, come una malattia, la morte di una persona cara o altri problemi, ma coloro ai quali succede sono “sfigati”, rientrano nel calcolo delle probabilità, un po’ come vincere la lotteria al contrario. Capita, ma è meglio non pensarci. Meglio distrarsi.
Nel dialogo in classe è intervenuto un altro alunno, che, provocato dal compagno, ha detto: “io penso spesso alla morte, ma non ho paura”. Quest’ultimo studente rientra nella categoria dei vincitori al contrario della lotteria, ha già avuto esperienza con la morte di una persona in famiglia. La sua bolla si è già frantumata alcuni anni fa.
Vedo in questi ragazzi la paura di essere giudicati, qualsiasi sia la loro esperienza.
Chiedo semplicemente: “perché avete usato il verbo distrarsi?”. Il problema infatti non è tanto distrarsi dalla morte, tutti in fondo sappiamo che è una battaglia persa; il problema è essere distratti dalla vita.
Non bisogna giudicare questi ragazzi ma richiamarli alla realtà, alla profonda bellezza della realtà. Don Luigi Giussani, in uno dei capitoli più belli e intensi de Il senso religioso, il capitolo 10, si pone il problema di come ridestare le domande ultime di questi ragazzi. “La paura non è il primo sentimento dell’uomo”. Non è la paura ciò che può risvegliare il cuore di questi giovani. Invece la parola che più di ogni altra risuona nel testo è la parola stupore. “Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe, è all’origine del risveglio dell’umana coscienza”.
In questa breve frase di don Giussani vedo una delle sfide più grandi dell’educazione in questi tempi, destare lo stupore e la meraviglia per la realtà, perché qualsiasi educatore può essere indicatore della meraviglia della realtà, ma può farlo solo se ne ha piena coscienza, se per lui è veramente una realtà bella e attraente. Soltanto così può indicare a questi ragazzi la bellezza ed essere credibile.
All’apparenza sembra una battaglia persa quella contro la distrazione della vita di tanti ragazzi, eppure siamo lì a parlarne, quasi ad avvicinare, con una semplice domanda, quella distanza con la vita che ogni giorno è sempre evidente.
Si avvicina il momento delle gite, e la classe in cui è nato il dialogo è proprio quella che porterò in Provenza, ad “incontrare” alcuni grandi artisti che avevano il dono di guardare la realtà con un grande stupore. È il motivo per cui in questi anni ho sempre fatto di tutto per poter accompagnare i ragazzi a vedere la bellezza della realtà e ridestare il loro stupore. La fatica di avere continuamente sott’occhio decine di ragazzi e sempre ripagata. Ridestare lo stupore nei confronti della realtà è l’unica strada per poterli far uscire dalla bolla della distrazione.
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