Sequestro Cristina Mazzotti, processo bis a Como ai tre presunti esecutori. Requisitoria pm: "Torturata e uccisa in modo disumano dalla 'ndrangheta"
Volge al termine il processo bis per il sequestro di Cristina Mazzotti, la 18enne rapita la 18enne rapita a Eupilio (Como) il primo luglio ’75 mentre rientrava a casa da una festa con amici, e morta durante la detenzione.
A 50 anni dalla tragedia, sul banco degli imputati ci sono i tre presunti esecutori del rapimento: Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia. La banda, di cui era membro anche Giuseppe Morabito, morto nel novembre scorso, chiese alla famiglia 5 miliardi di lire come riscatto.
LA LETTERA DI CRISTINA MAZZOTTI ALLA FAMIGLIA
Alla vigilia della requisitoria odierna a Como, i legali dei Mazzotti hanno portato in aula alcune lettere scritte dalla ragazza durante la prigionia. Sedata continuamente, fino alla morte, nascosta in una buca scavata nella terra, scrisse le condizioni per il riscatto: “Sono stremata, aiutami se puoi, fai presto“.
Dopo tre pagine di indicazioni precise per la consegna dei soldi, un ultimo appello al padre: “Ho tanta paura, sto male e soffoco“. Era disperata Cristina, consapevole che stava rischiando la vita: “Non mi hanno mai fatto niente, ma se non paghi subito mi uccideranno“.
Infatti, furono proprio le continue sedazioni a farla morire. Lo ha ammesso in aula il pentito di ’ndrangheta Antonino Cuzzola, secondo cui le davano Valium e pastiglie calmanti, probabilmente esagerando. Il riscatto fu pagato parzialmente, ma la ragazza era già morta e la famiglia non la rivide mai più.
La nuova inchiesta partì nel 2008 grazie a un’impronta lasciata sul parabrezza: inizialmente non fu attribuita a nessuno, poi a Latella, ma il fascicolo venne inizialmente archiviato. Due anni fa, la riapertura dopo l’esposto della famiglia, sulla base di una sentenza della Cassazione che definì imprescrittibile l’omicidio punibile con l’ergastolo.
LA RICOSTRUZIONE DEL PM NELLA REQUISITORIA
La vicenda è stata ricostruita nella requisitoria del PM Cecilia Vassena, che ha esordito invitando a non dimenticare la ragazza, uccisa brutalmente, visto che in questi casi si tende a dimenticare presto la vittima, spostando l’attenzione sugli imputati e sull’aspetto mediatico del processo.
Per quanto riguarda Demetrio Latella, il suo coinvolgimento è certo per il PM: un’impronta digitale è stata trovata nell’auto utilizzata per il rapimento di Cristina Mazzotti; inoltre, ha ammesso in due occasioni la sua partecipazione al sequestro. Vassena ha denunciato la freddezza e la disumanità dei rapitori: non importava loro nulla della vita della vittima, che era solo uno strumento per ottenere un riscatto. La morte era un rischio calcolato.
Inoltre, ha riportato i legami di Latella e Talia con la ’ndrangheta, che ha organizzato il sequestro. Parte del riscatto è finito in Calabria, a conferma del coinvolgimento mafioso. «Quello che ha dovuto subire Cristina Mazzotti rientra pienamente nel concetto di tortura», ha aggiunto il PM.
Cristina Mazzotti era tenuta in una buca sotto, senza possibilità di stare in piedi, con un tubo minuscolo per respirare. Le condizioni della prigionia erano disumane. L’omicidio è stato definito non solo drammatico, ma mostruoso.
