Silvio Soldini, regista, è intervenuto ai microfoni del “Corriere della Sera” in un’intervista a tutto tondo, nella quale ha raccontato di sé, partendo dalla sua infanzia, svelando di essere stato un barone rampante in erba. Infatti, ha confessato che da bambino gli piaceva vivere sugli alberi: “La mia famiglia aveva una casa sul lago Maggiore, una villa assurda. Mio nonno diceva che l’aveva fatta costruire una diva del cinema americano. Colonnati grandi, stile neoclassico, statue. E tanti alberi intorno. Io e mio fratello Emanuele ci arrampicavamo, costruivamo delle piccole casette sui rami e restavamo lì per ore”.
Uno dei due fratelli di Silvio, Giovanni Soldini, ha scelto la vela, l’altro, Emanuele, è il direttore dell’Istituto Europeo di Design. Poi, “ci sono io, che, dopo il liceo, non avevo la benché minima idea di che cosa fare. Mio padre mi iscrisse alla ‘Bocconi’, Economia e Commercio. Un disastro. Poi passai a Scienze Politiche, ma ero una specie di testa vagante, perlopiù si era verso la fine degli anni Settanta, andavo alle manifestazioni senza nemmeno sapere per che cosa stavo manifestando. Sì, amavo il cinema ma non osavo nemmeno confidarlo a me stesso. Figuriamoci, non ne sarò mai capace, pensavo”. A convincerlo a tentare di seguire quella passione per le pellicole e il grande schermo fu proprio il suo genitore, perché, per ammissione di Silvio Soldini, suo papà sapeva ascoltare e capì che quella poteva davvero essere la strada giusta. Lo mandò così a New York, dove per due anni frequentò una scuola di cinema e studiò con un allievo di Martin Scorsese.
SILVIO SOLDINI: “CHE DISAVVENTURE CON L’ACQUA!”
Nel prosieguo della chiacchierata con il “Corriere della Sera”, Silvio Soldini ha evidenziato che “Pane e tulipani” vinse nove David di Donatello, senza contare tutti gli altri premi: “Ricordo la cerimonia, fu un tormento. Io continuavo a essere chiamato sul palco e premiato, altri attori accanto a me nulla. Mi guardavano un po’ storto, io ero imbarazzato. Però il riconoscimento più bello me lo diedero al mercato di Roma, dal pizzicagnolo: una donna in fila davanti a me esasperata per l’attesa urlò: ‘Ahò, guarda che mo’ faccio come quella de Pane e tulipani, me ne vado'”.
Tra gli episodi più pericolosi della sua vita, c’è l’acqua, elemento cardine della vita del fratello Giovanni. Un aneddoto? Eccolo: “Lago Maggiore, io e i miei tre figli, una canoa. L’obiettivo è di raggiungere Isolabella e tornare indietro. Lago calmo, nessun problema. Solo che ad un certo punto si alza un’onda, le condizioni del lago cambiano e la canoa si ribalta. Io pensavo ai miei ragazzi: indossavano il giubbotto, ma come fare a uscire da quella situazione? La canoa imbarcava acqua, non riuscivo a raddrizzarla, passò un aliscafo che manco ci vide e, anzi, rischiammo di essere tranciati. Poi finalmente una barca più piccola, un ferro da stiro grosso. Che ci vide e ci raccolse. Grappa per tutti, ci voleva. Un’altra volta stavo nuotando al largo con la mia compagna di allora. Una corrente improvvisa, la roccia che già si vedeva in lontananza. Lei si dibatteva, non ce la faceva più. Anche quella volta pensavo più a lei che a me stesso, chissà perché”.