I dati diffusi nell’ultimo Bollettino Statistico di Bankitalia sull’andamento dei prestiti alle famiglie sono stati ripresi da alcune agenzie per rilanciare una sorta di equivalenza tra indebitamento e impoverimento. La relazione tra i due fenomeni può essere drammaticamente reale, ma non è affatto scontata ed inevitabile. Tutto dipende dalle circostanze che spingono ad indebitarsi e dalla capacità di far fronte al debito/prestito mediante il proprio reddito, ovvero mediante la propria capacità di risparmio nel corso del tempo. Anche se può sembrare paradossale, a livello aggregato il tasso di indebitamento risulta più alto tra chi ha redditi più alti, mentre il tasso di risparmio non è di per sé sinonimo di redditi più elevati. Fino al 1990 le famiglie italiane occupano il primo posto nella classifica del risparmio tra i paesi dell’OCSE, anche se non hanno il reddito medio più elevato; questo vantaggio si riduce però in modo considerevole dagli anni novanta ai giorni nostri, a causa della bassa crescita, della inflazione elevata, della crescente pressione fiscale e previdenziale.
Per stimare la relazione tra risparmio, indebitamento e impoverimento è necessario considerare i comportamenti microeconomici, guardando, ad esempio, alla possibilità di arrivare a fine mese, di far fronte a spese impreviste anche di modesto ammontare e al rischio di morosità e di insolvenza. I dati più recenti sui consumi delle famiglie (relativi all’anno 2006) indicano che 14,6 famiglie italiane su 100 arrivano con difficoltà alla fine del mese; che 28,4 famiglie su 100 non riescono a sostenere spese impreviste; che il 9,3% è in arretrato nel pagare bollette e che il 10,4% non riesce a riscaldare adeguatamente l’abitazione. L’area delle famiglie vulnerabili è dunque piuttosto vasta, in via transitoria o persistente, per ragioni accidentali o strutturali: se l’insorgere di eventi avversi – a livello del lavoro (perdita dell’occupazione o mancata carriera) o della salute (propria o dei propri familiari) – rende spesso incerto o insostenibile il tenore di vita, è diffuso anche il caso estremo di chi contrae nuovi debiti/prestiti per pagare debiti/prestiti pregressi.
Anche se dal punto di vista convenzionale il mutuo (come le spese straordinarie) viene considerato un investimento piuttosto che un consumo, sul piano pratico esso agisce sul bilancio familiare come un vero e proprio debito, da onorare con regolarità nei confronti di un proprio creditore. In pratica, il suo effetto non è molto diverso da quello provocato dal pagamento di un affitto, in quanto vi sono risorse economiche vincolate, che vengono tolte ad altri impieghi e che possono implicare anche sacrifici consistenti per il tenore di vita quotidiano. Le differenze tra chi abita in proprietà e chi abita in affitto restano notevoli – tenuto conto che l’incidenza della povertà è tra le famiglie in affitto tre volte maggiore – ma questo scarto favorevole può risultare, contingentemente, non evidente.
Una recente indagine nazionale sulla “spesa responsabile” ha confermato che l’80% circa delle famiglie italiane vive in case di proprietà a fronte del 20% circa che vive in affitto; oltre un quinto di chi abita in case di proprietà paga però un mutuo ed impegna una quota sensibile del proprio reddito familiare mensile, pari mediamente al 15-20%, con picchi anche superiori; non sorprende dunque che anche una parte dei mutuatari incontri difficoltà ad onorare il prestito, con conseguenze dirette sul proprio tenore di vita.
Nel campione di famiglie intervistate, circa il 30% ha contratto “debiti” per acquistare beni di consumo, principalmente per l’acquisto di mezzi di trasporto, cioè un tipo di bene durevole, sicuramente impegnativo sul piano economico, seguito a notevole distanza da prodotti high tech (computer, lettore DVD, videoregistratore, fotocamera digitale, ecc.). Ad adottare questi comportamenti sono principalmente i residenti nelle regioni del Mezzogiorno e le coppie con uno o più figli, la cui presenza sembra dunque essere la principale spinta agli acquisti a rate. Ricorre alle rate in misura superiore alla media anche chi paga il mutuo e chi paga l’affitto; chi ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese e chi non riesce a risparmiare nulla perché spende tutto. Nel caso qui considerato si direbbe dunque che il ricorso al credito dipenda principalmente dalla necessità imposta dalla limitatezza delle risorse (rispetto ai bisogni o alle aspettative) piuttosto che da una strategia economica facoltativa, con evidenti costrizioni e rischi al variare dei tassi di interesse.