La volontà del premier spagnolo di inserire l’aborto in Costituzione riaccende il dibattito. Ma non si arriva al punto: l’embrione è già un essere umano
Il tema dell’aborto torna oggi ad occupare il dibattito politico dopo la recente dichiarazione di Pedro Sánchez, capo del governo spagnolo, che ha annunciato di volerne fare un diritto di rango costituzionale. Analogamente a quanto accaduto recentemente in Francia, il 4 marzo 2024, quando la Francia è diventata il primo Paese al mondo a includere esplicitamente l’accesso all’aborto nella propria Costituzione.
Anche le leggi hanno una loro gerarchia e le leggi di rango costituzionale sono al vertice di questa complessa architettura normativa, per cui è molto più difficile modificarle senza una ampissima maggioranza parlamentare, e non di rado sono sottoposte anche a complessi referendum popolari.
Una riforma della Costituzione che includesse il diritto all’aborto, ossia all’interruzione volontaria della gravidanza, dovrebbe sancire in modo pressoché definitivo la libertà e l’autonomia delle donne in un ambito così delicato in cui però è in gioco anche la vita di una persona appena concepita.
Sul fatto che una donna, libera di abortire in Spagna già da tempo, debba essere informata sulle conseguenze che l’aborto comporta anche per la sua salute, teoricamente c’è un accordo generale, che è parte integrante di quel consenso informato che sta alla base del principio di autodeterminazione.
Attualmente però il Consiglio comunale di Madrid, con i voti del Partido Popular (Pp) e di Vox, ha emanato un provvedimento che obbligherebbe il personale sanitario a informare le donne che richiedono un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) del rischio di incorrere nel “trauma post-aborto”. E la decisione del Governo Sánchez rappresenta una risposta ad una iniziativa che viene interpretata come una interferenza nel processo decisionale della donna; qualcosa che potrebbe indurla a cambiare idea e a rinunciare all’aborto.
Secondo il governo inserire la libertà di abortire ad un livello costituzionale dovrebbe mettere in sicurezza questo diritto delle donne, sottraendolo a iniziative normative che invece sembrano minacciarlo.
In realtà la proposta Sánchez appare del tutto sproporzionata rispetto al provvedimento del Consiglio comunale di Madrid, che si muove in un livello diverso e investe soprattutto il livello della comunicazione: verificare che la donna riceva tutte le indicazioni necessarie per prendere una decisione consapevole. In questo contesto occorre valutare se, sul piano scientifico, esista o meno una sindrome post-traumatica da aborto, di cui informare le donne.
Ma come sempre quando si parla della vita, della vita della donna, che va tutelata in ogni modo, ma anche della tutela della vita di un figlio non ancora nato, il dibattito esplode investendo valori che non possono ignorati, né sottaciuti.
Secondo la ministra della Salute, Mónica García, si tratta di una condizione su cui non c’è accordo scientifico: la sindrome post-traumatica da aborto non appare in nessuna di quelle prestigiose classificazioni come l’ICD o il DSM, anche nella loro versione più aggiornata. Per cui non se ne dovrebbe assolutamente parlare in sede di colloquio previo all’aborto. Sarebbe un evidente tentativo di manipolazione, per dissuadere le donne ad abortire.
Chissà se la ministra penserebbe la stessa cosa di una proposta fatta in Italia qualche anno fa, in cui si chiedeva alle donne in procinto di abortire non solo di vedere le primissime ecografie, ma anche di ascoltare il battito fetale. Proposta rigorosamente bocciata anche in Italia, dove però fortunatamente nessuno chiede di mettere l’aborto in Costituzione per garantirlo da qualunque tentativo di cambiare la legge 194.

Per difendere la libertà e i diritti delle donne, Sánchez ha scritto sui social che il suo governo non farà “un solo passo indietro”, dal momento che si tratta di diritti sociali. Forse ha dimenticato che la libertà delle donne è messa a rischio in molte altre forme, dal momento che anche in Spagna ci sono ancora molte discriminazioni che rendono difficile alla donna armonizzare vita professionale e legittimo desiderio di maternità.
Il governo intende agire contro la disinformazione sull’aborto e per questo procederà a modificare il Real Decreto 825/2010 per evitare che le donne che vogliono interrompere la gravidanza ricevano “informazioni false o prive di prove scientifiche”.
Ed è proprio su questo punto che potrebbe aprirsi un dibattito più serio e concreto: di quali informazioni ha realmente bisogno una donna posta davanti all’alternativa se abortire o meno.
Secondo Sánchez, e la ministra della Salute del suo esecutivo Mónica García, nell’aborto chi sarà pienamente coinvolto, solo la donna, la cui libertà sarà sempre garantita ai livelli costituzionalmente più elevati, o anche quel soggetto fragilissimo, appena un embrione, che verrà eliminato chirurgicamente o chimicamente?
Sapere che non si tratta di un grumo di cellule, come conferma sempre più chiaramente la ricerca scientifica, limita la libertà della donna o la rende più consapevole delle sue scelte e delle conseguenze che hanno? Informare è giusto e informare correttamente è un dovere, ma basta ciò che dicono l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’American Psychiatric Association (APA) o ci sono anche altre fonti informative di cui tenere conto? La scienza parla anche in altri contesti altamente accreditati.
Il sindaco di Madrid, il conservatore José Luis Martínez-Almeida, ha giustamente riconosciuto che il “trauma post-aborto” non è una “categoria scientifica riconosciuta”. Ma il chi è dell’embrione diventa ogni giorno più noto a livello di ricerca scientifica.
Ed è anche su di lui che occorre porre la nostra attenzione. La ministra García ha sostenuto che la presunta sindrome post-traumatica da aborto si basa su “molta ideologia e poca scienza”: forse ha ragione, ma per lo stesso motivo è giunto il momento di fare maggiore chiarezza sul che cos’è dell’aborto e sul chi è del soggetto abortito. Non per impedirlo: ormai le leggi per garantire l’aborto, anche senza arrivare a livello costituzionale, ci sono già; ma per capire e per decidere con maggiore libertà cosa fare, tenendo conto del chi è dell’altro.
Il dibattito sull’aborto resta sempre sulla cresta dell’onda, a livello giuridico e a livello politico, a livello etico e a livello psicologico, e forse è giunto il momento di rilanciarlo anche a livello scientifico, partendo dall’iniziativa europea che considera l’embrione One of Us, “Uno di noi”, come ricordava instancabilmente Carlo Casini, magistrato e parlamentare italiano ed europeo per oltre 30 anni, di cui è appena iniziato il processo di beatificazione.
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