WhatsApp: spiare il telefono senza consenso è reato. La Cassazione conferma: rischio fino a 10 anni di carcere per accesso abusivo a chiamate e messaggi
Spiare WhatsApp non è solo un’invasione della sfera privata, ma un vero e proprio reato, tanto grave da poter costare fino a dieci anni di carcere: lo ha confermato la Corte di Cassazione in una recente sentenza che ha fatto a dir poco discutere, confermando la condanna ad un uomo accusato di aver violato la privacy dell’ex moglie accedendo ai suoi cellulari senza autorizzazione, con l’obiettivo di ottenere prove utili nella causa di separazione in corso.
Il caso è nato da una denuncia risalente al marzo 2022, quando la donna aveva reso noti i comportamenti persecutori e intrusivi da parte del marito, poi culminati nel furto di messaggi da chat private e screenshot di chiamate sottratti da un telefono che lei utilizzava per motivi di lavoro; l’uomo, approfittando dell’accesso fisico ai dispositivi – tutti protetti da password – avrebbe copiato conversazioni riservate e file personali per poi inviarli al proprio avvocato, che li ha usati in aula.
Secondo i giudici, la sua condotta non solo ha violato il diritto alla riservatezza, ma ha determinato a tutti gli effetti un accesso abusivo a un sistema informatico, in quanto WhatsApp, con le sue funzioni di messaggistica, chiamata e videochiamata, viene considerato un mezzo digitale regolato da protezioni tecniche ben precise come le password, e di conseguenza, coperto dalla normativa penale in materia.
La Cassazione ha ribadito che, anche in presenza di un consenso iniziale all’uso del telefono, l’uso che oltrepassa i limiti temporali e funzionali imposti dal proprietario rappresenta una violazione che può essere punita, in quanto ogni intrusione non autorizzata è paragonabile a una forzatura digitale, aggravata, in questo caso, dalla volontà di ottenere un vantaggio del processo di separazione; la sentenza diventa così un avvertimento per chi pensa di poter giustificare comportamenti che ledono la privacy con motivazioni sentimentali o legali.
Chiunque pensi che un cellulare condiviso, magari usato anche per motivi professionali, non sia protetto dalla legge si sbaglia di grosso: ogni accesso forzato, anche se effettuato “in casa”, costituisce un reato.
WhatsApp e privacy violata: accesso ai messaggi non autorizzato significa reato, anche se c’è confidenza
L’idea, per molti diffusa ma errata, che nella coppia “tutto sia condiviso” (compreso Whatsapp) si scontra oggi con una giurisprudenza chiara e inequivocabile: Whatsapp stesso è considerato dalla legge un sistema informatico a tutti gli effetti, e chi lo utilizza per spiare conversazioni del partner commette un crimine e, la Cassazione, pronunciandosi su una vicenda familiare tutt’altro che isolata, ha ribadito che ogni dispositivo protetto da password, ogni chat privata, ogni chiamata conservata, rappresentano un confine che non può essere varcato senza un consenso esplicito, pieno e consapevole.
Il caso al centro della decisione ha visto l’ex marito raccogliere prove estratte da due diversi cellulari della moglie, violando entrambi i telefoni e recuperando materiali che ha poi presentato in sede civile: tra i contenuti raccolti erano presenti messaggi personali con un collega, screenshot di registri chiamate e immagini di una chat protetta, tutti elementi che, secondo l’accusa, sono stati utilizzati nel tentativo di dimostrare un presunto tradimento, al solo scopo di ottenere un vantaggio nella causa di separazione.
Il comportamento dell’uomo è stato definito dai magistrati come un’invasione nella privacy della moglie, rimarcando come il consenso, se c’è, non può essere interpretato come un lasciapassare senza condizioni: ciò che conta è il superamento dei limiti autorizzati, anche se invisibili, anche se all’interno di dinamiche relazionali più complesse.
Da questa storia emergono due punti centrali: in primo luogo, la definizione di WhatsApp come sistema informatico significa che il suo utilizzo è protetto dalle stesse norme previste per qualsiasi accesso a reti e piattaforme digitali e, in secondo luogo, la protezione tramite password costituisce una vera e propria barriera legale, oltre che tecnica, quindi chi oltrepassa quella soglia, anche solo per sbirciare un messaggio, si espone al rischio concreto di una condanna.