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Home » Impresa » SPILLO/ I 143 mld degli artigiani vs. i 2,8 mld di Stellantis: il mito delle PMI dimenticato dalla politica

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SPILLO/ I 143 mld degli artigiani vs. i 2,8 mld di Stellantis: il mito delle PMI dimenticato dalla politica

Gianfranco Fabi
Pubblicato 8 Luglio 2025
Foto di Anna Shvets (Pexels)

Foto di Anna Shvets (Pexels)

L'economia italiana è fondata sulle Pmi, ma queste non ricevono la giusta attenzione dai media e della politica

Che l’economia italiana sia fondata sulle piccole e medie imprese è un mito, un postulato che, come tale, non ha bisogno di essere dimostrato. Ed è diventato un luogo così comune che anche la politica, così come l’informazione, lo considera un dato di fatto che non merita particolare attenzione.

A rompere il silenzio ci ha pensato nei giorni scorsi il benemerito ufficio studi della Cgia di Mestre sottolineando come “l’artigianato, che rappresenta uno dei pilastri del nostro sistema economico, abbia una dimensione occupazionale nettamente superiore a quella riconducibile alla principale industria manifatturiera d’Italia. A livello nazionale, infatti, le imprese artigiane sono 1,24 milioni, gli addetti 2,8 milioni e nel 2022 il comparto ha generato un valore aggiunto di 143 miliardi (contro i 2,8 realizzati da Stellantis). Nonostante ciò, l’attenzione dei grandi media, dell’opinione pubblica e di buona parte della politica nazionale è quasi sempre rivolta ad analizzare l’andamento e i risultati del nostro principale gruppo automobilistico e, più in generale, delle poche grandi imprese rimaste nel Paese”.


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La spiegazione, ma non certo la giustificazione, di questo disinteresse sta probabilmente nel fatto che il sistema delle Pmi e dell’artigianato è fortemente diversificato, attraversa praticamente tutti i settori produttivi, è diffuso su tutto il territorio e non ha una forte rappresentanza unica come è quella, bene o male, quella di Confindustria.


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Resta il fatto che una vera politica di sostegno all’economia dovrebbe almeno affiancare all’attenzione verso le grandi imprese (che peraltro sono sempre meno) anche interventi che facilitino la crescita delle Pmi rafforzando i loro caratteri particolari.

In questa prospettiva in primo piano non può che esserci la logica del territorio. Si parla poco dei distretti industriali, che restano invece uno dei pilastri della realtà produttiva. E quindi restano fuori dall’analisi di politica economica le particolarità delle filiere corte, dei rapporti complementari, delle potenzialità di unioni e collaborazioni, dell’innovazione di prodotto, di processo e di mercato, tutti elementi che caratterizzano l’artigianato così come le Piccole e medie imprese.


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Una politica per le Pmi dovrebbe partire dalle semplificazioni, dal sostegno alla crescita dal basso lasciando esprimere gli spiriti imprenditoriali. Invece basta guardare alla fine di Industria 4.0, la legge che istituiva incentivi automatici alla trasformazione digitale, e la sua sostituzione con Transizione 5.0, basata sulle certificazioni e la discrezionalità, per rendersi conto di come le esigenze delle piccole e medie imprese siano state prese finora in scarsa considerazione. La complessità delle procedure burocratiche associata all’esigenza di coinvolgere più figure professionali (dai periti ai revisori legali) ha creato infatti dei limiti oggettivi all’accesso agli incentivi all’innovazione.

Con buona pace di chi continua a parole a considerare una priorità la politica industriale.

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