Sul caso di Gaza e della Flotilla, la Cgil sembra aver preso una posizione simile a quella della Cub che di certo non le giova
Il Viminale ha avvertito: questa settimana potrebbe essere molto delicata per quanto riguarda l’ordine pubblico. Ci aspetta, forse, una nuova “settimana rossa”? Con questa definizione è passata alla storia patria l’insurrezione popolare sviluppatasi ad Ancona e propagatasi dalle Marche alla Romagna, alla Toscana e a altre parti d’Italia, tra il 7 e il 14 giugno 1914, come reazione all’eccidio di tre manifestanti avvenuto ad Ancona ad opera della forza pubblica.
È probabile che anche adesso vi siano frange oscure che – come si dice in questi casi – “cercano il morto”. Non si spiegherebbe altrimenti l’ostinazione premeditata con la quale – nel corso di manifestazioni ormai a cadenza settimanale da molti mesi – gruppi numerosi di casseurs aggrediscono la Polizia in servizio di ordine pubblico. C’è la voglia di ripetere le scene del G8 del 2001 a Genova? E chi sarebbe stavolta il Carlo Giuliani di turno?
Le forze dell’ordine danno prova di una grande professionalità, nonostante che in ogni occasione molti agenti siano ricoverati negli ospedali per le ferite riportate. Dopo i gravi scontri avvenuti a Milano la scorsa settimana anche il presidente della Repubblica ha espresso la sua solidarietà agli agenti feriti, forse per riparare a quella telefonata che aveva fatto al ministro Piantedosi dopo gli incidenti a Pisa e a Firenze.
L’aspetto più grave di questa situazione di allarme (il ministro degli Interni ha convocato i Prefetti per l’esame della situazione) sta nel fatto che ne sono protagoniste delle organizzazioni sindacali che si avvalgono non solo del fondamentale diritto di sciopero, ma anche di quelle altre prerogative (i c.d. diritti sindacali) loro attribuite per la tutela dei lavoratori. Peraltro negli ultimi giorni si è aperta una gara tra la Cgil e i sindacati di base, che ha visto questi ultimi surclassare la scorsa settimana nell’astensione del lavoro e nelle piazze le iniziative della più grande delle confederazioni storiche.
Da tempo è in corso un processo di “cobassizzazione” della Cgil, che – contrariamente alle aspettative di Maurizio Landini – sta premiando il sindacalismo di base anziché la Confederazione di corso Italia, alla quale la rincorsa in direzione di un maggior radicalismo non porta vantaggi sul piano organizzativo.
Certamente, non arriviamo dire che un sindacato debba avere altri problemi a cui pensare che non siano le questioni di carattere internazionale. La difesa della pace, la solidarietà verso chi soffre o è oppresso sono nobili obiettivi che fanno parte del bagaglio culturale del sindacato. Ma quando queste vocazioni rivelano un risvolto smaccatamente unilaterale, un risentimento ottuso e cieco, un sindacato perde credibilità e compie una scelta politica partigiana.
È sotto gli occhi di tutti la diserzione della Cgil e dei sindacati di base nella tragedia dell’Ucraina; è evidente che le azioni biasimate duramente nei confronti del Governo israeliano escono dai radar della protesta se compiute dalla Russia. Anzi, quando si sono svolte delle iniziative sulla guerra in Ucraina le critiche dei Cobas andavano alla Nato e la richiesta principale di Landini era quella del blocco degli aiuti militari a Kiev.
Nei prossimi giorni la Cgil e i suoi nuovi compagni di strada si troveranno a dover sciogliere un complicato nodo gordiano. Dopo tutti i tentativi autorevoli di mediazione respinti dagli equipaggi della “Flotilla” è apparso chiaro (i caporioni lo hanno ammesso esplicitamente) che il vero obiettivo non è la consegna dei viveri medicinali, ma “forzare il blocco” navale di Israele, entrando nelle acque territoriali e compiendo un vero e proprio atto di pirateria. Fino a che punto la Cgil & soci potranno avventurarsi nello sciopero generale senza preavviso e nell’occupazione di 100 piazze se la “Flottilla” incontrerà quei problemi che si ostina a cercare?
Servono a poco paragoni e confronti con altre vicende e altre epoche, ma per quanto mi sforzi di ricordare neppure per l’evento che ha segnato la mia generazione – la guerra in Vietnam – si arrivò alla proclamazione di uno sciopero generale. Eppure non è che siano mancati (si pensi alla Siria o alla lotta contro il Califfato) occasioni che avrebbero richiesto una maggiore solidarietà a livello dell’ opinione pubblica internazionale.
Ci sarebbero altre modalità più pertinenti per dare un contributo alle popolazioni gazawi. Non sarebbe sbagliato se la Cgil cercasse un confronto con l’Histadrut, una sindacato israeliano molto rappresentativo che ha posizioni interessanti anche per quanto riguarda la politica del Governo Netanyahu.
Quale solidarietà potrebbe andare, poi, alla causa palestinese dalle migliaia di persone (loro sì civili innocenti) costrette a bivaccare nelle stazioni o a bordo di convogli bloccati? Per fortuna, in Italia, è presente e vivace un pluralismo sindacale che in altre circostanze è stato ritenuto un limite da superare. Non solo la Cisl – che ha guadagnato una posizione autonoma -, ma persino gli ascari della Uil non hanno seguito la Cgil nella sua corsa disperata a sinistra.
Ora, dopo l’appello del presidente della Repubblica, la mediazione della Cei e l’azione di tutela promossa dal Governo, lo scenario politico è mutato e anche le opposizioni se ne sono rese conto. Cosa farà la Cgil? Metterà la sua storia e la sua forza a disposizione di alcune decine di “scappati di casa”?
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