È bene fare attenzione a quello che avviene intorno ai mercati, perché sembra esserci aria di "recession rotation"
In queste ore circola con insistenza la voce di imminenti dimissioni di Jerome Powell. Molto insistente. Forse troppo. Certamente alimentata dalla Casa Bianca. D’altronde nel suo ultimo tweet, Donald Trump ventilava 300 punti base di taglio per riuscire a sostenere l’economia. Mentre le minute della Fed parlano di costante pericolo inflattivo. Tertium non datur.
Una cosa è certa: prepariamoci a rivedere la recessione sul grande tavolo della manipolazione di mercato. Via i dazi, dentro lo spettro del Pil. La cartina di tornasole? I consumi a picco, apparentemente. Ma nel silenzio più totale, nonostante le dimensioni da pterodattilo del canarino nella miniera di turno. Questo.
Il risultato del primo giorno del Prime Day (ben quattro in totale, a dispetto del nome) è infatti a dir poco catastrofico: -41% rispetto allo scorso anno.
E attenzione, mentre gli indici azionari volano ogni giorno verso nuovi massimi da aggiornare e la relativa narrazione è quella del migliore dei mercati (e quindi dell’economia e del livello di benessere generale) possibili.
Vuoi dire che la vendita miliardaria di titoli da parte di Jeff Bezos non fosse per coprire i costi del matrimonio veneziano? By the way, solo lunedì sempre il patron di Amazon ha liquidato altri 600 e rotti milioni di azioni. D’altronde, se la recessione bussa alla porta, i rendimenti obbligazionari cominciano a prezzare politiche di stimolo. E una Fed espansiva, magari. Ma calano anche senza bisogno della Fed, quantomeno in un primo momento. Sarà per questo che circola la voce di un Jerome Powell ormai incapace di reggere l’urto quotidiano dell’offensiva trumpiana?
Detto fatto, la rogna dei 7 trilioni di debito su cui fare roll-over sembrerebbe meno rognosa. Certo, c’è il problema di Wall Street. Magari occorrerà uno storno in stile aprile, tanto per rendere credibile il tutto. E sgonfiare un po’ certe valutazioni. Il Big Bang di Nvidia a 4 trilioni di market cap sembra uscito da un copione. D’altronde, gli istituzionali vendono da settimane ormai. Mentre le prospettive di CapEx a 6 mesi della Fed di Richmond (un dato macro vecchio stile, che orrore!) sono a strapiombo, minino dal 2009, come mostra il grafico.
In compenso, c’è chi compra sui massimi. Mr. Smith. Il quale invece di acquistare beni di cui non ha bisogno da Jeff Bezos si svena per giocare a Gordon Gekko. Lo scenario perfetto, un’apparecchiatura di accident waiting to happen degna di un pranzo di gala. Manca solo il detonatore. L’addio di Jerome Powell?
Attenzione alla recession rotation. O al Prime tantrum, se preferite. I portfolios non paiono attrezzati. Ma chi prima si sintonizza sulla nuova narrativa, meglio potrà cavalcare l’onda. Prima che diventi tsunami. Ricordate quanto scrivevo soltanto il 1 luglio scorso? Come avete visto, c’è voluto poco prima che Donald Trump sganciasse la bomba delle tariffe al 50% sulle importazioni di rame. E al netto delle valutazioni dei futures e dell’ovvia speculazione da parte di chi, casualmente, era a conoscenza in anticipo della mossa (apparentemente suicida a livello industriale), questo implica che la guerra delle materie prime e dei microchip (di cui il rame insieme all’argento è materiale basico) con la Cina sta per entrare in un ambito globale di livello superiore.
Non a caso, Nvidia continua la sua marcia trionfale di rialzo in totale assenza di alcuna novità sostanziale sul fronte operativo. Una capitalizzazione di 4 trilioni di dollari basata su una potenziale domanda infinita di microchip che in realtà Pechino può smontare in mezza giornata, esattamente come avvenne con lo stress test di DeepSeek, è la misura di quanto questo mercato sia totalmente scollato non solo dalla realtà macro ma anche dal minimo principio precauzionale di auto-conservazione.
A latere, poi, pensate che Ursula von der Leyen si sia salvata perché chi ha votato contro la mozione di sfiducia la ritenga persona degna di guidare la Commissione Ue? No, perché serve agli Usa. Perché, casualmente e dopo aver sfoggiato per settimane una ridicola postura da dura nell’ambito delle negoziazioni commerciali, la von der Leyen due giorni prima del voto ha telefonato al Presidente Usa. Una lunga, cordiale telefonata. Casualmente, partiti che fino all’altro giorno criticavano l’esponente tedesca a viso aperto, subito dopo decidono di non votarle contro. E di non astenersi. Risultato? Bocciatura bulgara della sfiducia.
Gli Usa hanno bisogno che la garante del mega-piano di spesa per riarmo resti al suo posto. Altrimenti quanto ottenuto attraverso il vertice Nato rischierebbe di venire vanificato da una crisi al buio a Bruxelles. Inoltre, agli Usa occorre che contestualmente l’Europa continua a suicidarsi a livello industriale con la sua agenda green. E questo è il vero, grande compito della Commissione in carica.
Stiamo entrando in un territorio inesplorato e terribilmente pericoloso. Politicamente. Finanziariamente. Geopoliticamente. E l’Europa lo sta facendo con una nonchalance tipica soltanto di due categorie: gli stupidi o gli eterodiretti. Non so quale sia la realtà al riguardo. So che nulla sta accadendo a caso. So che troppe caselle stanno cominciando a incastrarsi. So che uno signor nessuno come me ha colto il segnale del rame con anticipo rispetto alla decisione della Casa Bianca. Dall’alto del suo diploma di liceo scientifico. Sono io un genio oppure la stampa cosiddetta autorevole sta recitando una parte in commedia?
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