Non fatevi abbindolare dalle cronache, stavolta siamo davvero alla fine della stagione di pasti gratis. E in tal senso, anche la sceneggiata consumatasi al Senato assume contorni decisamente differenti. E inquietanti. La Bce ha alzato i tassi di 50 punti base per la prima volta da 11 anni a questa parte, una mossa volutamente anticipata dai rumors dei giorni scorsi. Chiaramente, tutti hanno immediatamente sancito a fine della stagione del denaro a costo zero. Balle. Questi due grafici parlano chiaro: era sempre luglio, quando nel 2011 l’Eurotower ritoccò i tassi al rialzo per l’ultima volta. Poi, esplose la crisi del debito sovrano nell’Eurozona.
Ricordate la letterina Bce che il tanto compianto Mario Draghi scrisse a due mani con Jean-Claude Trichet e recapitò a Giulio Tremonti? Brutto déjà vu, lo so. Ma attenzione, perché come mostra l’immagine, quella normalizzazione durò poco: dopo tre mesi, si tornò a tagliare. Proprio a causa di quella crisi sistemica. Questo déjà vu deve fare paura: la Bce ha azzardato questa mossa perché sa benissimo che fra poco dovrà fare marcia indietro causa recessione da energia. Quindi, spera di ottenere un qualche risultato nei mesi relativamente sonnacchiosi dell’estate a livello di raffreddamento dell’inflazione core e poi sfrutterà i guai del più grande dei Paesi periferici per evitare che i Level3 delle banche tedesche e francesi saltino come tappi di champagne a San Silvestro, a causa delle loro esposizioni esotiche messe sotto pressione della Fed. E il secondo grafico, di fatto, offre un’anticipazione in tal senso: le aspettative sull’ampiezza del prossimo aumento dei tassi previsto per il board di settembre sono crollate.
Insomma, quella che vi viene descritta come una mossa drastica contro l’inflazione è niente più che un classico esempio di patetico gioco delle parti. Si alza nella certezza di poter abbassare prima che venga scoperchiato il vaso di Pandora delle porcherie di mercato e prima di fare eccessivi danni in vista di un rallentamento dell’economia che, udite udite, è stato finalmente confermato dalla stessa Lagarde, notoriamente una che si accorge del treno quando ormai è stata investita.
E cosa garantisce questa sorta di immunità di movimento alla Bce? Semplice, lo scudo anti-spread per l’Italia. Il quale ha finalmente anche un nome: Transmissions Protection Mechanism o Tpi, tanto per non farci mancare un nuovo acronimo da imparare a memoria. E in cosa consiste? Nulla di che, solamente un Mes mascherato. Perché a fronte di una definizione molto rassicurante di un ulteriore strumento a disposizione del Consiglio direttivo attivabile per contrastare ingiustificate e disordinate dinamiche di mercato che mettono seriamente a repentaglio la trasmissione della politica monetaria in rutta l’area euro, si nasconde una facility di acquisto di debito senza limiti ex ante ma con condizionalità per il richiedente che, di fatto, lo rendono immune da qualsiasi accusa di violazione dei vincoli di mandato Bce. Tradotto, la Bundesbank ha silenziosamente ma questa volta risolutamente agitato il fantasma di un nuovo ricorso alla Corte di Karlsruhe prima ancora che i tecnici dell’Eurotower spremessero le loro meningi per partorire questa ennesima partita di giro. E stavolta, chi intende usufruire dello scudo dovrà pagare dazio. Nero su bianco.
Non a caso, Christine Lagarde ha utilizzato una duplice furbizia nel presentare il Tpi. Primo, ne ha delineato i caratteri in maniera assolutamente elementare, rinviandone i particolari a un comunicato stampa ad hoc diffuso dopo la fine della sua conferenza stampa. Come dire, nessuna domanda sgradevole a cui non saper o poter rispondere in maniera onesta. Secondo, ha sottolineato come comunque la prima linea di salvaguardia dalla frammentazione dei rendimenti rimanga il reinvestimento dei titoli acquistati durante il programma pandemico, il Pepp. Ovvero il concambio a saldi invariati fra Bund venduti e Btp acquistati che dal 1 luglio a oggi ha mantenuto il nostro spread in area 200 punti base, qualsiasi cosa accadesse nel mondo o in Italia. Come dire, amici italiani, noi lo strumento ad hoc lo abbiamo preparato, ma pensateci bene prima di utilizzarlo e cercate di essere così rigorosi – tradotto, scordatevi qualsiasi nuovo scostamento di bilancio e anche promesse in tal senso in campagna elettorale – da rendere sufficiente l’attuale linea Maginot. Quella senza condizionalità.
Il perché si è palesato alle 15:45 con la pubblicazione del famigerato comunicato ad hoc: di fatto, una presa in giro. Sono infatti quattro i criteri per accedere al TPI: conformità con le regole fiscali dell’Ue, assenza di seri sbilanciamenti macro, sostenibilità fiscale e debitoria e politiche macro a livello interno sostenibili e solide. Domanda da 1 euro, perché sarebbe ridicolo porre sul tavolo una posta maggiore: quante possibilità ha l’Italia di accedere a un simile strumento, al netto anche soltanto delle sue ratio di deficit e debito sul Pil o politiche fuori linea come il SuperBonus 110% o, peggio, un sistema previdenziale storicamente non ritenuto sostenibile dall’Europa?
Tradotto per i Draghi-entusiasti, ecco scattato il trappolone e spiegata la fretta di portare il Paese alle urne, dimettendosi pur avendo una maggioranza formale e attaccando il centrodestra in quel modo, quasi a cercare con tutto l’impegno possibile una sua reazione che si tramutasse in casus belli per l’addio. Volete che lo spread non esploda ed evitare una crisi greca? Bene, riforme draconiane sotto stretto controllo dell’Europa. Anche su capitoli finora sensibili e non tangibili come pensioni e catasto, ad esempio.
Insomma, quello che poteva sembrare la solita word salad della Bce, una vuota insalata di parole, è di fatto la certificazione del Mes e della Troika sotto mentite spoglie. Ora rimpiangete pure piangenti Mario Draghi, se ne avete ancora voglia.
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