Christine Lagarde potrebbe essere costretta a rivedere, nemmeno troppo in là nel tempo dal suo insediamento, l’intera strategia di tiering. E non a caso, il Governing Council della Bce ha già segnalato chiaramente come il moltiplicatore a 6x rispetto alle riserve minime possa essere aggiustato, se questo si rendesse necessario per controllare il tasso di deposito. Ma, sempre facendo riferimento al grafico del precedente articolo, il mercato obbligazionario non pare affatto convinto della capacità della Bce di giungere a questo risultato, visto che il rendimento del Bund a 2 anni è salito ai massimi dal 2015 nell’immediatezza della decisione ed è poi rimasto al di sopra delle media ponderata.
Addirittura, per Arne Lohmann Rasmussen, capo delle ricerche sul reddito fisso di Danske Bank a Londra, “la Bce con la sua mossa ha, di fatto, appena alzato i tassi. Il programma di tiering è infatti molto più grande di quanto il mercato non si attendesse”. E ora? Sembrano argomentazione prettamente tecniche – e lo sono -, ma se si vuole capire davvero dove sta andando e dove andrà l’Europa, occorre cominciare a studiare queste dinamiche. Così fondamentali da aver portato come diretta conseguenza, ancor prima di entrare in vigore ufficialmente, al polemico addio anticipato dal board Bce del falco dei falchi, quella Sabine Lautenschlaeger che di fatto altro non è se non il volto più aggraziato e presentabile di Jens Weidmann.
Davvero, al netto del piano-farsa con neutralità fiscale assoluta presentato dalla Germania come risposta green e mediatica alla necessità di investimento, credete che Berlino accetterà una deriva monetarista che veda non solo istituzionalizzata la politica stimolo ma anche – e soprattutto – totalmente eliminato con essa il concetto stesso di rischio connaturato all’obbligazionario sovrano? Magari in attesa della mutualizzazione stessa del debito. Davvero pensate che la Germania possa permettersi un collasso del sistema bancario, oggi che Deutsche Bank e Commerzbank stanno ancora combattendo per sopravvivere, a colpi di tagli occupazionali, ampliamenti della bad bank e cessione dei rami operativi più profittevoli, come il trading desk passato ai francesi?
E qui non è un problema di contingenza, di emergenzialità nella risposta alla crisi: qui si tratta di una deriva giapponese in senso stretto, una completa deregulation a livello di criteri minimi di responsabilità fiscale degli Stati. Non a caso, al ruolo di commissario agli Affari economici della nuova Commissione è stato scelto un italiano, ancorché parzialmente “sotto tutela” finlandese. E cosa ha dichiarato ieri, proprio Paolo Gentiloni? “Applicheremo il patto di stabilità, usando piena flessibilità”. Insomma, il nulla, come dire che piove, ma forse c’è anche un po’ di sereno. Signori, non sentite nell’aria da qualche giorno l’odore dell’ineluttabilità dell’aumento dell’Iva, stante le arrampicate libere sugli specchi degli aumenti solo per chi, ad esempio, paga in contanti o spostando i carichi sui generi di lusso per esentarne quelli di fascia più ad ampio consumo, a livello di aliquota? Comunque sia, si dovrà ritoccare.
E sapete perché la Germania sarà costretta, temo, a giocare nel ruolo pesante del guastatore, sia in ambito di Commissione che di Bce? Per questo, perché dopo la Bce che succhia i risparmi dei tedeschi, ora Alternative fur Deutschland ha alzato il tiro per la sua nuova campagna politica: abbandono dell’euro e ritorno al marco.
Certamente una provocazione, ma, con la recessione dietro l’angolo e la depressione già certificata dagli ultimi dati industriale tedeschi, quanto pensate che ci metterà a fare presa su un’opinione pubblica stanca e spaventata un messaggio-scorciatoia come questo? Il grafico, poi, spiega perché non abbia più senso parlare di asse renano, di direttorio a due Germania-Francia: con la crisi del debito sovrano europeo seguita a quella mondiale del 2009, le strade di traiettoria e politica fiscale dei due ex alleati si sono nettamente divise, come mostrano le dinamiche di ratio debito/Pil. Gli interessi non sono più convergenti, per questo Parigi ha immediatamente dato vita a un riavvicinamento con Roma, non appena nato il Conte-bis.
Attenzione, perché il fatto che Ursula von Der Leyen sia tedesca costringerà poi i falchi di Berlino a un doppio gioco, a una partita su due tavoli. E le dimissioni di Sabine Lautenschlaeger sono il chiaro segnale di quale sarà il preferito e sul quale puntare più forte, non fosse altro per non mettere direttamente nel mirino le decisioni di un organismo presieduto da un ex ministro di lungo corso del governo Merkel. La quale, però, potrebbe – esercitando troppo compiacimento verso rilassamenti fiscali e concessione di flessibilità sui conti, come annunciato da Gentiloni – offrire a sua volta un argomento di propaganda straordinario proprio a AfD, la quale unirebbe alla critica verso l’Ue-Bce anche l’attacco contro i “traditori” interni del Paese, vendutisi a Bruxelles e alla causa delle cicale del Sud. Non a caso, Sabine Lautenschlaeger si è dimessa in anticipo e in aperta polemica con la linea espansiva.
D’altronde, i sovranisti nostrani non dicono che proprio il Conte-bis sia nato fra Berlino, Parigi e Bruxelles e che il primo ministro altro non sia che il cameriere di Merkel e Macron? Attenzione, la vera battaglia inizia solo ora.
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