SPY FINANZA/ La “palla di neve” di Deutsche Bank e Commerzbank

- Mauro Bottarelli

La situazione di Deutsche Bank e Commerzbank non migliora e a subirne le conseguenze può essere presto tutta l'Europa

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Piccole soddisfazioni ferragostane, mentre tutt’intorno osservavo una Milano strapiena di turisti in cerca di un bar aperto per comprare una bottiglietta d’acqua e mangiare un panino o delusi per non aver potuto fare shopping, carichi magari di dollari o yen. Complimenti, avanti con questa mentalità da serrata anni Sessanta! Tanto poi c’è la facile scusa del surplus tedesco come causa di ogni male per giustificare certi approcci da Terzo Mondo che ci relegano a perenne fanalino di coda. Di quali soddisfazioni parlo? Quelle che mi hanno regalato Cnbc e Bloomberg, le quali giovedì e ieri hanno dedicato due approfonditi articoli ai casi di Deutsche Bank e Commerzbank, a loro dire simbolo allarmante di un sistema bancario europeo sempre più votato al nanismo globale. Insomma, la seconda parte del mio articolo – quella uscita mercoledì – ci aveva visto giusto, nelle pieghe della disinformazione finanziaria mainstream. E l’EuroStoxx Banks, il sotto-indice bancario del benchmark azionario dell’eurozona, il 15 di agosto è sceso ancora sotto alla quota critica di 80, esattamente in area 76. Oltretutto, con Piazza Affari e il suo fardello bancario proporzionalmente rilevante sull’indice generale chiusi.

Non a caso, intervistato dal Wall Street Journal, Olli Rehn ha anticipato che a settembre la Bce potrebbe stupire tutti con le misure che metterà in campo a contrasto delle recessione incipiente: poche parole che sono bastate a far schiantare al ribasso l’euro nel cambio e rivitalizzare tutti gli indici europei ieri mattina. Perché Olli Rehn non solo non ha lesinato in iperboli con i termini utilizzati, sfoderando di nuovo nientemeno che il concetto di “bazooka”, ma, soprattutto, ha formalmente posto fine alla politica del calcio al barattolo e alzato non poco l’asticella delle aspettative: dopo un annuncio simile e in una cornice editoriale simile, la politica degli annunci senza fatti concreti a seguito, pare davvero terminata. Pena una sell-off con pochi precedenti.

Forse è il caso che prendiamo atto di quale momento stiamo vivendo, perché temo che questo Paese – impegnato com’è nella sua pausa annuale dai lamenti su quanto dura sia la vita – non ne abbia molta contezza. Non si rende conto che i tonfi come quelli patiti nei giorni scorsi e l’alternarsi di rimbalzi più o meno reali sono altrettanti sintomi pericolosi del ritorno della volatilità: la ricetta per il disastro, in un quadro finanziario di leverage ormai fuori controllo. Occorre prendere atto del fatto che la nostra politichetta locale non conti più nulla: che viva o muoia il Governo giallo-verde interessa soltanto ai talk-show, visto che lo spread – a parte una fiammata iniziale – poi non si è più mosso. E ieri è calato di nuovo in area 200, dopo l’annuncio di Olli Rehn.

In compenso, in Borsa il comparto bancario resta in sofferenza strutturale. Valutazioni che calano, criticità degli istituti che crescono. Così come le mire fameliche di chi li ha messi nel mirino e attende che si aggiornino sempre nuovi minimi, prima di sferrare l’attacco: come certe malate di shopping che ogni giorno passano davanti alla stessa vetrina, controllando il prezzo di quel paio di scarpe che puntano da settimane. Hanno tempo e pazienza, gli avvoltoi. Volteggiano su Piazza Affari, quasi disinteressati. Ma non lo sono. Guardate questo grafico, il quale ci mostra cosa sia accaduto nell’ora precedente all’apertura delle contrattazioni a Wall Street il 15 di agosto: tutti annunci, tutta politica a muovere gli indici. Quantomeno a livello di futures. Tutto sull’asse Washington-Pechino.

Siamo dentro un enorme Matrix che ha come riferimento la guerra commerciale fra Usa e Cina, ma, come vi dicevo ieri, quello è soltanto il paravento. La scusa. L’alibi per intervenire e far intervenire. Perché quando Pimco, il più grande gestore obbligazionario del mondo, rompe gli indugi e conferma che a suo modo di vedere la Fed sarà obbligata ad andare in negativo con i tassi benchmark, allora signori sappiate che significa entrare in mondo totalmente nuovo, inesplorato. E pericoloso. Davvero pensate che l’Italia, splendidamente rappresentata dalla ridicola crisi di governo in atto, sia in grado di entrare da protagonista su questo palcoscenico, di dire la propria? Io non credo, stante la realtà attuale. E la colpa è di tutti: politica, informazione, corpi intermedi. E della gente. La quale, temo, non abbia idea di cosa stia davvero accadendo attorno a sé, limitandosi a dar vita a un derby calcistico fra tifoserie. Mentre, ad esempio, ignorano che il market cap di Deutsche Bank, alla chiusura delle contrattazioni di Ferragosto, era di poco superiore ai 12 miliardi di euro a fronte di oltre 21 di esposizione reale ai derivati, mentre quello di Commerzbank – già salvata una volta dallo Stato – aggiornava il nuovo minimo sotto quota 6 miliardi. Signori, 6 miliardi di capitalizzazione per Commerz!

E forse la gente non si rende conto che il rendimento del CoCo bond 6% di Deutsche Bank, il primo a patire perdite in caso di crisi acclarata, sia salito al 13,5%, il tutto in un momento di yields sottozero per chiunque nel mondo. Sono ormai oltre 15 i triliardi di dollari di controvalore per la carta da parati, sovrana e corporate, che prezza sotto in negativo: mettete pure la questione in prospettiva, trattandosi di Deutsche Bank. E forse la gente non sa che, sempre a Ferragosto, General Electric ha perso il 15% in un solo giorno a Wall Street, dopo che Harry Markopolos, l’uomo che svelò al mondo lo schema Ponzi di Bernie Madoff, in un report ha denunciato come il conglomerato industriale statunitense stia nascondendo al mercato perdite per circa 38,1 miliardi di dollari. Significa, se è realtà, il default pressoché garantito. Peccato che GE non solo con la sua “carta” sia fra le maggiori azioniste dello strategico comparto obbligazionario dell’energetico, ma anche che guidi la pattuglia dei bond con valutazione BBB, i cosiddetti fallen angels, quelli ormai così grandi che se precipitano dal purgatorio dell’ultimo livello di investment grade all’inferno del junk, trascinano con sé tutto e tutti.

Tutto questo, signori e amici, è accaduto nel breve lasso di tempo delle ore di contrattazione borsistica di Ferragosto, mentre Piazza Affari era chiusa per festività e l’Italia festeggiava non si sa bene cosa, in spiaggia come sui monti. Avete sentito una singola di queste notizie ai tg della sera o a quelli della notte? Nulla. Non un fiato. Borsa chiusa a Milano equivale a Borse chiuse ovunque, mercati che non esistono, limitati come siamo al nostro orticello di beghe governative, sbarchi concessi e negati e soprattutto gossip. Mi spiace dirlo, ma temo che stavolta si stia davvero scherzando con il fuoco, perché la situazione sta precipitando in tempi rapidissimi.

La palla di neve dei due principali istituti bancari tedeschi sta diventando valanga ed è solo a metà del cammino che la porta a valle, essendo agosto con i suoi bassi volumi e le sue imboscate ancora lungo da passare. Io ho il massimo rispetto per le opinioni di tutti e non penso che le mie preoccupazioni debbano per forza essere anche quelle degli altri, ma esiste un limite, invalicabile: se non ci si informa, se non si è soggetto critico e attivo, poi non si ha diritto di lamentela. A nessuno livello, ignorantia non excusat. E qui, signori, stiamo giocando con una situazione che è decisamente più grave di quella del 2011. E, forse, persino del 2008. Perché all’epoca, per quanto la legnata fu spaventosa per tutti, l’Europa era relativamente poco esposta e direttamente interessata alla porcheria dei subprime, oggi invece il sistema bancario dell’eurozona è il più debole a livello globale. È l’epicentro di crisi. E state certi che, Bce a parte, non potrà godere, né sperare nell’aiuto disinteressato di nessuno.

Sbaglierò, ma temo che, a settembre, patiremo tutti un pessimo risveglio collettivo, all’insegna del soprassalto. E non sarà un caso: l’effetto sorpresa, l’emergenzialità fatta norma, il ricorso ad alibi del tipo “ce lo chiede l’Europa” è un classicissimo della politica italiana, a tutti i livelli. Stavolta, però, temo davvero che il conto sarà salato. Molto, molto salato.





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