Gli analisti danno in ripresa lo Stato islamico: in Africa sfrutta l'assenza di contrasto da parte russa. Ha 15mila uomini e agisce anche in Iraq e Siria
Una retata in Turchia con 161 arresti riaccende i riflettori sullo Stato islamico. I fondamentalisti che in Medio Oriente un tempo avevano preso possesso di parte della Siria e dell’Iraq ora sembravano in ribasso. Invece è solo diminuita l’attenzione dei media. Infatti sono presenti nell’area mediorientale e anche nel Sahel, dove sfruttano le scarse, se non nulle, attività di contrasto dei russi, subentrati ai francesi come Paese di riferimento di molti governi dell’area.
In realtà, osserva Stefano Piazza, giornalista e scrittore, esperto di sicurezza e terrorismo, i turchi hanno anche sostenuto lo Stato islamico, che proprio nelle banche della Turchia ha depositato i suoi soldi. E i jihadisti continuano ogni giorno con le loro azioni violente, consolidandosi soprattutto in Africa, ma anche provando a risalire in Iraq e Siria. Con il rischio di rivederli agire in Europa con attentati terroristici.
Lo Stato islamico torna a fare notizia in Medio Oriente e in Africa: la retata in Turchia lo dimostra?
La Turchia ha tutta l’intenzione di presentarsi come un bastione contro il jihadismo, ma ha simpatizzato a lungo con lo Stato islamico. I 161 arresti, ammesso che l’operazione non sia stata enfatizzata, dimostrano che la Turchia è il porto sicuro dei jihadisti. Dopo la caduta dell’Isis, nel 2019, molti di loro fuggirono nella località più vicina, che era, appunto, la Turchia. Erano carichi di soldi e le banche turche hanno ospitato non solo i loro beni, ma anche il tesoro dello Stato islamico stesso. Al-Baghdadi, che ne era il leader, venne ammazzato in una zona di confine con la Turchia: voleva recuperare i soldi dello Stato islamico, che ammontavano a un miliardo di dollari, mentre oggi sono diventati 300 milioni.
Ma gli aderenti allo Stato Islamico sono ancora in Turchia?
Le banche turche i loro soldi non li mollano. E per i jihadisti la Turchia resta tutto sommato un porto sicuro, alcuni di loro hanno aperto anche delle attività, nel campo del noleggio delle auto, per esempio. L’operazione messa a segno dalle autorità turche ci dice che sono ancora lì, anche se Ankara ogni tanto cerca di dare dimostrazione del suo impegno per contrastarli.
Lo Stato islamico, tuttavia, secondo gli analisti, è ancora molto presente in Africa: sta proliferando?
La questione dell’Africa come epicentro del jihadismo è un vecchio-nuovo problema. Nessuno pubblica più delle attività dei fondamentalisti, ma continuano a uccidere, decapitare e torturare. Al Naba, la rivista dello Stato islamico che esce ogni giovedì notte, prima era dedicata tutta all’Europa e agli attentati che venivano commessi lì, ma ora praticamente riguarda l’Africa, con tanto di immagini spaventose.
Come si finanziano i gruppi che fanno riferimento a questa esperienza?

Attraverso traffici relativi ad armi, droga, esseri umani, diamanti, risorse naturali. Già i jihadisti iracheni, nonostante tutto, non avevano una grande dimestichezza con il Corano, quelli africani sono gente comune che non ha nessuna conoscenza dei testi, banditi che prima razziavano i villaggi e che oggi hanno capito che entrare in un gruppo jihadista consente di fare qualche soldo, di sopravvivere meglio. L’Africa è sicuramente l’epicentro dello Stato islamico e del terrorismo.
Dove in particolare?
Le stragi più terribili si realizzano tra Nigeria, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo.
Ma si può parlare di recrudescenza del fenomeno, oppure semplicemente non se ne parlava più e ora ci siamo solo ricordati che esiste?
Ogni tanto i media generalisti se ne accorgono e tornano a mettere l’accento sul problema, ma chi si occupa di queste cose sa benissimo che sono una costante del terrorismo internazionale. Una delle aree in cui agiscono più in profondità è il Sahel, importante snodo dei flussi migratori, in cui è cresciuta l’influenza dei russi, che sono riusciti a instaurare governi fantoccio loro amici, come è successo in Burkina Faso, in Niger, in Mali. Il problema è che la Russia, presente con i contractor ex Wagner, si sta preoccupando solo di arraffare le materie prime ma non della lotta al jihadismo.
Da questo punto di vista i risultati dei russi sono peggio di quelli dei francesi?
La loro propaganda diceva che i francesi hanno portato il jihadismo, anche se non è vero, e che loro lo avrebbero estirpato. In realtà non hanno fatto nulla di tutto questo. Oggi gli ex Wagner si accontentano di controllare, di rubare le risorse di questi Paesi e i governanti si accontentano di avere loro come guardie del corpo. È così che in queste zone si verificano attentati ogni giorno. L’unico Paese di quell’area sul quale l’Occidente può davvero contare è il Marocco, che ha dei servizi segreti molto performanti: quando sentiamo dire che c’è stato qualche attentato sventato da Paesi amici, in realtà si fa riferimento soltanto a due di loro, Israele e Marocco.
Le analisi sul nuovo terrorismo parlano anche di presenza dello Stato islamico in Iraq e Siria: quanto è radicato lì?
I jihadisti non se ne sono mai andati da questi Paesi, si sono ritirati in aree desertiche dove magari è difficile andarli a cercare e dove si sono riorganizzati.
Ma sono ancora un pericolo nel Medio Oriente? Quanti uomini hanno?
Difficile fare una stima, ma se si mettono insieme tutte le fazioni, dall’Iraq alla Siria, all’Africa, saranno 10mila uomini. L’ultimo rapportoioONU sostiene che sono intorno ai 20mila, ma credo che un numero più coerente possa essere intorno ai 10mila, forse 15mila. Loro la guerra la fanno tutti i giorni, ogni gruppo nella sua provincia. Sostenere che le singole formazioni lo facciano autonomamente è una sciocchezza: lo Stato Islamico è una cosa seria, non ti dà l’affiliazione se non rispondi alle sue dinamiche.
Hanno ancora una struttura da Stato?
Non hanno più una moneta o il ministero della Propaganda, ma sono un gruppo molto attivo, che ha possibilità di azione in diversi Paesi.
I jihadisti costituiscono un pericolo anche per l’Europa?
Sì, certo, l’Europa corre ancora un grande pericolo, ci sono centinaia di persone che attendono un segnale per agire. A questo si aggiunge il rischio derivante dal terrorismo di marca palestinese. Una volta che Hamas verrà sconfitto militarmente in Israele, credo che inizierà una stagione molto difficile in Europa. E non escludo che Hamas e Stato islamico, che finora erano in contrasto fra loro, non possano stringere una qualche alleanza.
(Paolo Rossetti)
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