Stefano Andreotti, figlio di Giulio, ha raccontato il sette volte presidente del Consiglio. Sulle accuse di mafia ha detto, in una lunga intervista a il Giorno: “Quando tutto comincia, dal punto di vista umano, mio padre era un uomo finito: non usciva più di casa, era impasticcato di schifezze che gli avevano dato per dormire e stare tranquillo, non faceva più niente. Una morte fisica e civile. Poi, ha avuto la forza di reagire”.
“Ha reagito – continua – grazie a persone che gli sono state vicine, a cominciare dalla famiglia, ma anche a persone verso le quali aveva una grande venerazione. Due in particolare: Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II. Ma, oltre le persone e la famiglia, è stata la fede la sua alleata: una fede vera che ha avuto fino alla fine e che lo portava a dire: ‘Questo mi accade perché ho avuto tanto dalla vita’”.
Il figlio di Giulio Andreotti: “Gli piaceva il potere, per lui era un mezzo”
Oltre alle accuse di mafia, sul rapporto con il potere Stefano, figlio di Andreotti, ha detto: “Era qualcosa che in assoluto gli piaceva: questo è chiaro. Ricoprire cariche pubbliche è indubbio che lo appagava e forse, diceva, “ho anche fatto qualche sgambetto a qualcuno” per averle. Come altri cavalli di razza democristiani li facevano a lui. Però il potere per lui non era fine a se stesso, era un mezzo”
Giulio Andreotti “era l’assoluto opposto della severità, era la bonomia fatta persona. Noi siamo nati, praticamente, che Andreotti era Andreotti. Io sono del ’52 e lui era da 5 anni il sottosegretario alla presidenza di De Gasperi e dopo di Pella, nel ’53”. Mio padre era una presenza attentissima. Poi si è completamente, come dire, rimbambito per i nipoti. Una volta mia sorella Serena aveva la bambina che faceva la raccolta dei Puffi e di questi pupazzetti mia nipote non ne trovava uno. Ebbene, mio padre ha smosso non so chi per riuscire a recuperarlo da un importatore del Nord“.