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Home » Cultura » Storia » STORIA/ Agosto ’43, così le bombe alleate dividono le due Italie

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STORIA/ Agosto ’43, così le bombe alleate dividono le due Italie

Alberto Leoni
Pubblicato 12 Agosto 2023
Aiuti del Vaticano agli sfollati (foto Archivio Santa Sede, da vaticannews.va)

Aiuti del Vaticano agli sfollati (foto Archivio Santa Sede, da vaticannews.va)

Mentre migliaia di italiani in Sicilia ancora si battevano insieme ai tedeschi, l'Italia di Badoglio era sotto i bombardamenti alleati. La fine era ormai vicina (1)

Siamo ormai giunti al termine della narrazione della partecipazione dell’Italia alla Seconda guerra mondiale e la fine è più che mai tragica. Mentre tanti uomini si battevano ancora eroicamente e la popolazione pativa la fame e le bombe, un intero sistema di governo, quello che aveva guidato l’Italia a partire dalla sua unità ottant’anni prima, dichiarava il proprio fallimento. Ma è proprio da questo fallimento che l’Italia, incredibilmente, risorse grazie a quella che rimarrà per sempre la nostra “best generation”, superiore anche a quella che aveva vinto la Prima guerra mondiale: perché è più difficile vincere una pace che vincere una guerra.


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Le operazioni in Sicilia continuarono e 60mila tedeschi, coadiuvati dai resti di quattro divisioni italiane, riuscirono a tenere in scacco mezzo milione di angloamericani, ritirandosi ordinatamente verso la cuspide di Messina, accorciando progressivamente il fronte per permettere l’evacuazione delle truppe dell’Asse. Le battaglie di Nissoria e Regalbuto contro i canadesi, di Centuripe e di Adrano contro gli inglesi e di Troina contro gli americani furono dei capolavori di tattica. Montgomery riuscì a entrare in Catania solo il 5 agosto e furono gli americani, con una serie di offensive caparbie, operando costanti aggiramenti con sbarchi anfibi, a entrare per primi in Messina il 16 agosto, trovandola del tutto abbandonata dagli italo-tedeschi. Ultimi a ritirarsi furono i tedeschi con gli artiglieri dell’“Aosta” e dell’“Assietta” che si erano battuti fino all’ultimo. L’evacuazione, organizzata e diretta dal capitano di fregata von Liebenstein, consentì il trasporto di 94mila soldati italiani, quasi 40mila tedeschi fra cui più di 4mila feriti con 1.100 tonnellate di munizioni, 70 tonnellate di carburanti e altre 15mila tonnellate di materiale bellico.


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Gli angloamericani avevano vinto la campagna a un costo relativamente basso, circa 11mila uomini (fra morti, feriti e dispersi) nell’VIII armata e più di 8mila nel VII corpo americano. I tedeschi avevano perduto 9mila uomini fra morti e dispersi, oltre a 4.500 prigionieri. Per gli italiani la questione, come è noto, riguarda il consolidato giudizio sulla loro scarsa combattività, ed è pur vero che vi furono fenomeni di sbandamento collettivo. Su 250mila militari presenti nell’isola, fra armi e servizi, vi furono più di 160mila prigionieri, ma è anche vero che si ebbero più di 4.500 caduti e 36mila dispersi in gran parte caduti in combattimento: un dato che deve far riflettere sia sulla presunta incapacità di battersi degli italiani, sia su quanto fosse micidiale la potenza di fuoco anglo-americana.


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Il dato più inquietante, anche se sconosciuto al popolo italiano, fu il comportamento di tedeschi e alleati nei confronti della popolazione civile. Una condotta che anticipava gli orrori degli anni a venire. A Mascalucia, i tedeschi si diedero al saccheggio indiscriminato. Un gruppo di soldati cercò di violentare alcune donne, il nonno di queste si oppose e venne pestato a sangue: uno dei nipoti del vecchio sparò sui tedeschi e iniziò un conflitto a fuoco che vide scendere in campo anche soldati italiani con mitragliatrici e cannoni. A Castiglione, venti contadini furono fucilati dai tedeschi per essersi opposti al saccheggio e questo mentre gli italiani erano “alleati”. I marocchini al seguito degli americani, da parte loro, attaccarono i paesi di Capizzi e di Castelvetrano, rapinando e stuprando ma incontrando l’opposizione dei siciliani che reagirono energicamente, infliggendo gravi perdite ai predoni.

Nell’Italia continentale, nel frattempo, vivevano due Italie: quella della gente comune, che cercava di sopravvivere sotto le bombe, e quella dei governanti, del re, della sua corte, dei generali che cercavano una via d’uscita in modo sempre più caotico e disperato.

I bombardamenti alleati proseguirono per tutto il mese di agosto e furono sempre più terribili. Napoli fu colpita almeno cinque volte ed ebbe un migliaio di morti. Il 7 agosto la Raf bombardò contemporaneamente Torino (20 morti), Genova (100 morti) e Milano (161 morti).  L’11 agosto gli americani sventravano Terni (568 morti) e gli inglesi, la notte del 12 agosto, cercarono di provocare a Milano una “tempesta di fuoco”, simile a quella che aveva distrutto Amburgo pochi giorni prima. A salvare Milano furono l’afa e l’assenza di vento ma venne distrutto anche il convento di Santa Maria delle Grazie e, si può dire miracolosamente, restò in piedi solo il muro del Cenacolo vinciano. Il centro città venne spianato, da piazza Duomo ai quartieri di Porta Venezia e Porta Vittoria, fino a Corso Sempione e Porta Garibaldi. I morti furono più di settecento, ma la città venne colpita duramente sia il 14 sia il 15 agosto con altre centinaia di morti. Gli sfollati che si erano rifugiati sulle colline a nord di Varese poterono vedere bruciare l’orizzonte a sud, come se tutta Milano fosse diventata un enorme pira sacrificale.

Anche Foggia venne più volte colpita, con centinaia di morti, e Roma venne nuovamente bombardata il 13 agosto (500 morti) ma il bombardamento più terrificante furono quelli del 31 agosto a Pisa (952 morti) e Pescara (1.500 morti).

(1 – continua)

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