La grande mostra Franz e Franziska, non c’è amore più grande, che l’ultimo Meeting di Rimini ha dedicato ai coniugi Jägerstätter, ha visto decine di migliaia di visitatori provocati nell’intimo dalla storia di Franz, un contadino austriaco che non si piegò alle pressioni del nazismo e che, sostenuto dall’amore di Franziska, dopo sei mesi di prigionia accettò serenamente la morte all’età di 36 anni per non rendersi complice della guerra criminale di Hitler.
Tra i tanti interrogativi suscitati da questa storia uno merita una particolare attenzione: com’è stato possibile che nel mondo austro-tedesco, a fronte di grandi masse acculturate e informate alla tradizione cristiana che hanno ceduto al fascino perverso di Hitler, soltanto un umile contadino poco scolarizzato avesse potuto accorgersi fin da subito che sotto il segno della croce uncinata si palesava l’Anticristo?
Una prima risposta a questa domanda ci viene da un piccolo libro, La lama e la croce. Storie di cattolici che si opposero a Hitler (Lev, 2004). L’autore, Francesco Comina, è un insegnante e giornalista di Bolzano che da anni si dedica alla vocazione di far emergere dall’oblio figure di resistenti al nazismo nel nome della fede cristiana. Come lui stesso si definisce, è un “cacciatore di storie di esistenze di coscienza e di libertà”. Ha pubblicato tra l’altro una bella biografia in forma di romanzo su Franz Jägerstätter (Solo contro Hitler, Emi, 2021) e un’altra dedicata a Josef Mayr-Nusser (Non giuro a Hitler, San Paolo, 2000), un altoatesino che come Franz era padre di famiglia e obiettore di coscienza alla guerra di Hitler, morto di stenti a 34 anni sul carro-bestiame che lo conduceva a Dachau. In questo libro Francesco Comina ci presenta nove storie, una per capitolo, di donne e uomini che per non tradire la verità del rapporto personale con Cristo, custodito nel sacrario della loro coscienza, hanno subìto il martirio ad opera di un regime, quello nazista, che dei suoi sottoposti voleva succhiare anche l’anima.
Nell’introduzione Comina allarga il campo ad altre possibili storie, alcune già ampiamente note, come quella della Rosa Bianca, altre invece meno conosciute, che ancora attendono nuovi “cacciatori di storie”, per “dire al mondo che ci sono stati uomini e donne più forti dell’odio nazista”: tra questi si conta anche un gran numero di monache, sacerdoti e laici che a Roma come a Toano e ad Assisi, per fare solo qualche esempio, si opposero alla Shoah mettendo in salvo migliaia di ebrei. Credenti che, scrive Comina, “hanno vissuto totalmente, in mezzo alla tempesta nazista, a imitazione di Cristo facendo della sua discesa in terra non un presidio di onnipotenza ma una traversata tumultuosa fra i sentieri polverosi di una verità nonviolenta e di una fedeltà umana […] alla misericordia, alla carità e alla giustizia sociale”. Come fece suor Maria Angela Autsch, arrestata all’età di 40 anni per avere parlato troppo liberamente con alcuni vicini e inviata ad Auschwitz, dove si prodigò fino a consumarsi nell’assistenza dei malati. Questo “Angelo di Auschwitz” morì in seguito a un bombardamento alleato sul lager nel dicembre del 1944. Papa Francesco l’ha proclamata venerabile.
Comina ci conduce con ritmo incalzante dentro alla drammaticità di esistenze giovani e anche meno giovani, il cui filo rosso, l’obbedienza alla propria coscienza che impone una responsabilità ineludibile verso la storia, verso Dio e verso se stessi, si dipana lungo una linea che da Bolzano, nel cui Duomo riposano le spoglie del beato Josef Mayr-Nusser, sale su per l’Alto Adige attraverso Merano, da dove provenivano molte delle 2mila reclute del Reggimento di polizia “Brixen” di Bressanone che rifiutò all’unisono di giurare fedeltà a Hitler e che fu inviato in blocco sul fronte in Slesia, lasciato soccombere in gran numero dinanzi alle forze soverchianti del nemico. Comina ci conduce poi a Lana, un paesino presso Merano circondato da alte cime nella cui chiesa è ricordato padre Heinrich Dalla Rosa, parroco di Sankt Georgen presso Graz, dove coltivò tra i giovani una “teologia della gioia e della condivisione”. In seguito alla delazione di un amico passato al nazismo, fu condannato alla ghigliottina nel gennaio 1945, all’età di 36 anni, per la sua strenua difesa della libertà di educazione contro l’indottrinamento nazista nella scuola.
Poco lontano si giunge ad Hall, in Tirolo, nella cui chiesa è custodita la scultura lignea della testa decapitata del padre pallottino austriaco Franz Reinisch, uomo di cultura, partecipe del movimento apostolico di Schönstatt. Egli non si fece scrupolo di denunciare la natura criminale del nazismo e nel 1939, lontano dall’idea che la Chiesa dovesse badare solo alla propria salvezza, dichiarò che “la carità cristiana deve essere elargita anche al popolo ebraico”. La Gestapo lo prese di mira vietandogli di predicare nel territorio del Reich, infine gli venne recapitata la cartolina di precetto per l’arruolamento. Reinisch rispose: “Posso prestare giuramento al popolo tedesco, ma mai a un uomo come Hitler”. Il 15 aprile 1942 dichiarò in caserma la propria obiezione di coscienza. Trasferito nel carcere di Tegel, prima di essere messo a morte, annotò le ragioni del suo rifiuto: una religiosa, perché “la resistenza è legittima difesa” della Chiesa; una politica, perché “l’attuale governo non è autorità divina, ma un governo nichilista che ha conquistato il potere con la violenza, la menzogna e l’inganno”; infine una ragione “messianica”, perché “anche se accettassi l’annessione e dunque il governo nazista, sarei ancora lontano dal poter prestare giuramento di fedeltà, perché bisognerebbe fare delle riserve troppo serie” a proposito delle “leggi contrarie alla natura, come l’omicidio, l’eliminazione dei deboli mentali, la sterilizzazione, le leggi scolastiche. Quindi il mio rifiuto è legittima difesa” (p. 65).
Franz Reinisch sarà decapitato il 21 agosto 1942, all’età di 42 anni, nel carcere di Berlino-Brandeburgo sull’Havel con la stessa ghigliottina che verrà usata un anno dopo per Franz Jägerstätter insieme ad altri quindici condannati, di cui sei per obiezione di coscienza, testimoni di Geova. A Sankt Radegund, al confine tra Austria e Baviera, la casa dove vissero il loro amore Franz e Franziska Jägerstätter è ora un museo memoriale meta di numerosi pellegrinaggi. E qui a Sankt Radegund, davanti al fiume Salzach che segna il confine con la Germania, sulla tomba dove riposano le ceneri del beato Franz Jägerstätter, si conclude la prima parte del nostro percorso sulle tracce dei martiri cattolici del nazismo.
(1 – continua)
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