Paolo Crepet riflette sul tema dell'aumento dei suicidi giovanili: secondo lo psichiatra è la somma del fallimento dell'intera società

Lo psichiatra infantile Paolo Crepet è intervenuto ieri sera nella trasmissione “Ignoto X” per riflettere sul tema della crescente propensione al suicidio tra i giovani e i giovanissimi, in un vero e proprio boom che si rileva soprattutto dal periodo pandemico: un problema che – secondo il dottor Crepet, ma non solo – è legato soprattutto al fallimento di una società che sembra aver dimenticato l’importanza delle relazioni umane, spostate sempre di più nel pericoloso mondo digitale.



Prima di arrivare al parere di Crepet, è utile partire dai numeri: secondo l’OMS, infatti, in Europa ogni anno si rilevano 150mila suicidi, dei quali circa 4mila in Italia con una media di 11 al giorno in continua crescita dal 2020; rappresentando ormai, nella classe d’età tra i 15 e i 29 anni, la principale causa di morte in Europa e la seconda in Italia dopo gli incidente stradali, con motivazioni spesso legate all’iperconnessione – tra cyberbullismo, revenge porn e il fenomeno degli hikikomori – che rende i giovani sempre più soli e isolati dai loro pari e da quelle relazioni fondamentali per la loro crescita.



Paolo Crepet: “Se i giovani si suicidano è perché l’intera società ha fallito nel suo ruolo educativo”

Riflettendo su questo tema, Crepet ha ricordato che “ci sono circa due adolescenti al giorno che tentano il suicidio e circa uno su dieci ci riesce” con un chiaro “segnale che i ragazzi sono soli perché gli adulti, le amicizie, la scuola e lo sport hanno fallito“, ma senza ignorare neppure “il ruolo che hanno i social“: in tal senso, Crepet ricorda che “ci sono stati casi ovunque nel mondo [di giovani] che hanno seguito una sorta di guru nero che dietro al digitale, pur di aver successo e contare nella vita di qualcuno, porta i ragazzi a un gesto irreparabile”.



(Ansa)

Complessivamente, comunque, secondo Crepet ci sono almeno due osservazioni da fare: la prima è legata al fatto che “togliersi la vita non è mai collegabile a un singolo evento, anche quando può sembrare tale, dato che ci sono sempre degli altri avvertimenti che talvolta cadono nel vuoto”; mentre la seconda “è legata al tema della solitudine, che a volte può essere anche positiva, spesso confusa con l’isolamento che è il sentirsi soli, marginalizzati o umiliati in un sistema che deve funzionare per forza e comunque”.

“Il più alto tasso di suicidi giovanili – prosegue Crepet – è in Giappone che, come sappiamo, spesso per la struttura delle scuole è uno dei paesi più rigidi” e proprio la rigidità “ha un effetto devastante e drammatico” perché si va a tradire la fiducia che il giovane dovrebbe avere nei docenti e nell’istituzione scolastica che – a sua volta – tradisce il suo compito “educativo”: in questo precario contesto si inserisce – prosegue Crepet – la tecnologia, ricordando le “chat di Intelligenza artificiale” che funzionano come confidenti “sostituendosi alle altre persone” e a quel ruolo di “tutor che dovrebbero avere i docenti”.