Cina e Giappone ai ferri corti per Taiwan. Decisivo l’incontro in aprile fra Trump e Xi Jinping a Pechino. Ma gli USA potrebbero fare concessioni
Cina Popolare e Giappone ai ferri corti per colpa delle differenti vedute sul futuro della Repubblica di Cina-Taiwan. Al presidente Xi Jinping non sono piaciute le dichiarazioni della prima ministra giapponese che ha ipotizzato una reazione forse anche militare in caso di attacco di Pechino a Taipei. E subito sono partite ritorsioni commerciali nei suoi confronti. Le rivendicazioni della Cina Popolare su Taiwan, d’altra parte, non sono una novità, anche se la situazione potrebbe cambiare dopo l’incontro fra Trump e Xi previsto in aprile.
I taiwanesi, infatti, spiega Giuseppe Morabito, fondatore dell’IGSDA e membro del collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation e della Fondazione Machiavelli, iniziano a temere che il presidente americano faccia delle concessioni a Pechino non assicurando, nel prossimo futuro, la collaborazione difensiva verso la democratica e liberale Taiwan preferendo salvaguardare gli interessi americani in altri campi.
Quanto è grave la crisi tra Cina Popolare e Giappone?
La presidente del Consiglio giapponese Takaichi ha dichiarato che, se la Cina Popolare dovesse aggredire Taiwan, ci sarebbero reazioni anche militari. Non deve sorprendere, perché Tokyo ha interessi nell’area che vuole salvaguardare. Ci sono poi tre piccole isole a nord di Taiwan, di proprietà giapponese ma rivendicate da Pechino, sulle quali il Giappone ha installato dei missili: un modo per rimarcare il suo interesse per quell’area e per mandare un messaggio chiaro alla Cina.
Un’installazione che ha avuto conseguenze diplomatiche?
Il governo taiwanese ha mandato dei “messaggi di riconoscenza” al Giappone e, in particolare, il primo ministro Lai Ching-te si è fatto anche fotografare mentre mangia il sushi con il riso, cibo tradizionale giapponese. Pechino, invece, ha dichiarato che non gradisce intromissioni negli affari tra Cina Popolare e quella di Taiwan. Come è noto, considera l’isola e i suoi 23 milioni di abitanti una “provincia ribelle”.
Di mezzo c’è il controllo del Mar cinese meridionale?
Si contendono alcune isole che dopo la Seconda guerra mondiale sono rimaste ufficialmente giapponesi: sono importanti perché permettono di controllare il traffico navale nello stretto di Taiwan e anche nell’area di mare verso il Giappone. Le isole affermano l’estensione a sud delle acque territoriali nipponiche. Nella sostanza si è creata una situazione simile a quella della UE con l’Ucraina. Anche il Giappone, infatti, sostiene Taiwan, ma non è in grado di fare molto contro i cinesi senza il supporto degli USA. Il problema è che in aprile Trump andrà in Cina Popolare e i taiwanesi temono che stringa accordi penalizzanti per loro.
Cina Popolare e Giappone potrebbero arrivare allo scontro per dirimere la questione delle isole contese nel Pacifico?
Naturalmente mi auguro di no. Il problema resta, visto che la Cina Popolare ostinatamente e irresponsabilmente continua a ritenere Taiwan di sua proprietà e provincia ribelle, minacciandola militarmente. Ricordo che il governo comunista di Pechino non ha mai esercitato il suo governo sull’isola.
Il danno per il Giappone, se la Cina Popolare dovesse prendersi Taiwan, quale sarebbe?
Per il Giappone gli scambi commerciali con Taiwan sono unici e importanti. Conquistare l’isola cinese, oggi autonoma da Pechino, però, non sarà impresa facile, anche in virtù della morfologia del territorio. Quando gli americani nella Seconda guerra mondiale decisero di occupare un’isola importante come base di partenza per arrivare in Giappone, preferirono puntare su Okinawa.
La Cina Popolare ha messo in atto delle ritorsioni nei confronti del Giappone, interrompendo l’importazione di pesce e sconsigliando i turisti di prenderlo come meta per le vacanze. Quanto pesa tutto questo sull’economia del Sol Levante?
Tokyo ha sviluppato un grande mercato relativamente ai frutti di mare, mentre ci sono 6 milioni di turisti cinesi che ogni anno si recano in Giappone, la cui assenza, secondo alcuni analisti, comporterebbe un danno di 11 miliardi di dollari.
Quale scenario possiamo immaginare allora per l’area? Ci sono segnali che Trump potrebbe cedere con Xi su Taiwan?
Trump non si sa mai quale posizione potrà prendere. Taiwan segue con attenzione la politica estera USA. La Casa Bianca sembra sia riuscita a far accettare le sue condizioni per ottenere il cessate il fuoco a Gaza e sta cercando di farlo anche in Ucraina. La storia recente ci porta a non escludere l’ipotesi che Trump possa prendere una posizione simile anche in questa occasione. Ripeto, si tratta di ipotesi. Va anche detto che il rapporto fra Washington e Tokyo è strettissimo, mentre sia Giappone sia Taiwan stanno aumentando la spesa militare.
Per Taiwan è possibile una soluzione tipo Hong Kong ma mantenendo le libertà democratiche?
Taiwan lavora per mantenere lo status quo ed è difficile che il suo presidente faccia dei passi a favore della Cina popolare. Una soluzione diplomatica non la vedo: Pechino si comporterà come in occasioni simili partendo dalla assoluta intransigenza. Il nodo da sciogliere rimane uno: bisogna vedere se Trump cederà a Xi su Taiwan per salvaguardare gli interessi americani. E comunque gli Stati Uniti hanno firmato accordi per supportare Taipei in caso di attacco e di reciproco sostegno con il Giappone. I taiwanesi vedono come la democrazia ad Hong Kong stia soffocando e non credo piaccia loro di arrivare a questo stato delle cose.
Cosa potrebbe succedere?
È possibile che in aprile, dopo il vertice Trump-Xi, il mondo verrà riorganizzato in quell’area e sia Taipei che Tokyo si trovino con le spalle al muro. È un’ipotesi e lo rimane! Poi bisognerà vedere se gli USA avranno risolto le crisi a Gaza e in Ucraina. In quel caso potrebbe cambiare approccio nei confronti del dossier Taiwan, che rimane il baluardo democratico all’espansione ulteriore di Pechino.
(Paolo Rossetti)
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