Nella giornata di oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo (semplicemente abbreviata con la sigla ‘Cedu’) si è pronunciata in merito al ricorso di diversi cittadini che vivono nella cosiddetta Terra dei fuochi che avevano lamentato le mancate tutele alla loro salute da parte del governo italiano che – pur consapevole dell’evidente rischio per la vita che coinvolge l’intera area campana – non avrebbe mai attuato nessuna misura per contenere e limitare l’inquinamento: la sentenza è a dir poco storica, perché oltre ad imporre allo stato di agire al più presto possibile sull’area della Terra dei fuochi, riconosce anche la colposa responsabilità dei governi che per anni hanno insabbiato la situazione senza curarsene.
Partendo dal principio, è bene ricordare innanzitutto che con Terra dei fuochi ci si riferisce ad una vasta area compresa tra i comuni di Caserta e Napoli nella quale diverse associazioni a stampo mafioso hanno impunemente sotterrato, bruciato ed abbandonato una quantità enorme di rifiuti tossici e speciali che secondo diversi studi – sia italiani che esteri – avrebbero causato un notevole impatto sulla salute degli oltre 2,9 milioni di residenti con un vero e proprio picco della mortalità legata a tumori e leucemie.
Cos’ha detto la Cedu sulla Terra dei fuochi: la colpe riconosciute allo stato e la condanna impartita
Ad appellarsi alla Cedu erano stati decine di cittadini ed associazioni che vivono o operano nell’area della Terra dei fuochi invocando la mancata tutela da parte dello stato degli articoli 2 e 8 – relativi rispettivamente al Diritto alla vita e al Diritto alla vita privata e familiare – della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sottolineando che lo stato fosse da tempo a conoscenza della situazione e che non avrebbe adottato nessuna misura di contenimento dei rischi, né avrebbe fornito le dovute informazioni ai residenti.
Dopo le dovute consultazioni, la Cedu ha ritenuto che il rischio per la salute e la vita all’interno della Terra dei fuochi sia “sufficientemente grave, reale e accettabile” per giustificare una condanna definitiva allo stato che non avrebbe agito con la dovuta celerità per attuare “una risposta sistematica, coordinata e completa”, adoperandosi – più che per prevenire i rischi per la salute – per “coprire alcune informazioni con il segreto di Stato”; pertanto la Corte intima allo stato di “sviluppare una strategia globale per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica” entro e non oltre i prossimi due anni.