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Home » Esteri » Africa » TERRE RARE/ “Usa vs. Cina in Africa, Trump deve gestire un ritardo di 30 anni. Partirà dalla Nigeria”

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TERRE RARE/ “Usa vs. Cina in Africa, Trump deve gestire un ritardo di 30 anni. Partirà dalla Nigeria”

Int. Marco Di Liddo
Pubblicato 7 Luglio 2025
presidente USA Donald Trump

Il presidente USA Donald Trump (Ansa)

Trump incontrerà alcuni capi di Stato dell’Africa: vuole le terre rare del continente per essere meno dipendente dalla Cina. Ma non sarà facile

Trump prepara un incontro con i Paesi africani. Ha toccato con mano, durante la guerra dei dazi con la Cina, la dipendenza da Pechino per quanto riguarda le terre rare e vuole trovare canali autonomi di approvvigionamento proprio nel continente africano.

Il problema, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI, Centro Studi Internazionali, è che in quell’area gli USA devono ricostruire completamente la loro politica. Cercheranno di togliere spazio alla Cina (molto presente proprio per accaparrarsi le terre rare), garantendo ai singoli Paesi un sostegno dal punto di vista della sicurezza, grazie all’impiego di mercenari inquadrati in compagnie militari private, e sviluppando la raffinazione sul posto, assicurando quindi un indotto e una maggiore ricchezza (almeno sulla carta) ai Paesi interessati.


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Trump dovrebbe incontrare presto cinque leader africani. C’è un rinnovato interesse degli Stati Uniti per l’Africa? Un interesse solo commerciale o anche di altro tipo?

Prevalentemente è un interesse legato a logiche economiche, poggiate su due pilastri. Il primo è quello delle materie prime critiche. Gli Stati Uniti hanno bisogno di minerali critici per alimentare la propria industria ad alta tecnologia e hanno nell’Africa una cornucopia dove attingere. Non sarà semplice, perché i cinesi sono posizionati meglio al momento, anche grazie proprio alla scarsa attenzione americana negli ultimi trent’anni. Però gli USA intendono recuperare terreno.


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Come faranno?

Attraverso un rilancio delle politiche commerciali, la minaccia dei dazi e investimenti nella sicurezza e nella protezione politica di certi leader, settore in cui la Cina non ha mai brillato. I cinesi sono bravi a fare accordi economici, ma quando devono metterli in sicurezza con un impegno militare, difettano un po’. La loro diplomazia ha sempre cercato di evitare lo strumento della forza armata, prediligendo la leva (o il ricatto) economica. Molti Paesi lamentano questo atteggiamento e si rivolgono agli Stati Uniti. I russi, da questo punto di vista, non riescono ad accontentare tutto il continente: a causa della guerra in Ucraina, il “pacchetto Africa Corps” (ex Wagner Group) non riescono ad applicarlo a tutti gli Stati.


GOVERNO E UCRAINA/ Decreto armi e invito del Papa, quel doppio "messaggio" alla Meloni


Nella controversia sui dazi, la Cina ha usato l’arma delle terre rare contro Trump. Ora gli USA ritornano in Africa per cercare di essere meno dipendenti da Pechino?

Esattamente. Anche se con un grosso punto interrogativo relativo alla raffinazione. Uno dei problemi dell’azione mineraria cinese in Africa è che c’è tanta estrazione, ma poca raffinazione in loco. Questo non consente lo sviluppo di un indotto degno di questo nome e costringe i Paesi africani a esportare il prodotto grezzo, che costa meno di quello lavorato. Una delle idee per gli USA potrebbe essere di strappare accordi migliori, provando a sviluppare un minimo di indotto nel Paese. Gli africani avrebbero un ritorno maggiore, anche se poi bisognerà vedere se finirà nelle tasche di pochi.

Gli USA hanno favorito l’accordo tra Ruanda e Congo. Ma in quali Paesi potrebbero stringere accordi sulle terre rare?

Il Congo è un inizio, ma non basta. C’è bisogno di ricostruire tutta la politica statunitense in Africa. Difficile dire quali possono essere le sponde: i rapporti con il Sudafrica non sono dei migliori, soprattutto dopo quello che è successo alla Casa Bianca tra Trump e il presidente Cyril Ramaphosa. Nel Sahel, l’impronta americana è scarsissima. In generale, gli Stati Uniti hanno sviluppato negli anni forme di cooperazione legate alla lotta al terrorismo. Basti pensare all’operazione Enduring Freedom o a tutte quelle forme di cooperazione bilaterale con Stati come Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto e parzialmente anche l’Etiopia. Questa politica oggi è un po’ tramontata ed è stata accelerata dal fatto che, per esempio, Trump ha ridotto drasticamente gli aiuti alla cooperazione.

Come si muoveranno allora gli americani?

Devono ripartire da capo. Sicuramente la Nigeria può essere un primo Paese da cui iniziare: ha negli Stati Uniti un punto di riferimento, è anglofona ed è un gigante dell’Africa occidentale. Se però l’obiettivo sono le terre rare, bisogna guardare altrove. Miniere potenziali si trovano in Mozambico, Malawi, Zambia. Sicuramente nell’ex Africa portoghese qualche sponda in più ci può essere, considerando che in quei Paesi negli ultimi 5-6 anni il rapporto con la Cina è andato un po’ deteriorandosi.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald Trump

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