Trump esorta l'Europa a continuare ad acquistare armi USA, con miliardi di dollari a rischio per il predominio USA nel settore bellico globale

Trump non ci sta e aumenta la pressione sull’Europa per mantenere il controllo indiscusso nel comparto degli armamenti. Intanto l’UE cerca di fortificare la propria industria bellica, trovandosi di fronte lo spettro opprimente dell’industria militare statunitense, che punta a consolidare il predominio incontrastato e senza oppositori delle armi.



Se l’Unione Europea si muove con determinazione verso la conquista di maggiore autonomia produttiva degli armamenti, cercando di limitare la partecipazione delle aziende statunitensi alle gare d’appalto, gli Stati Uniti reagiscono impetuosi, mandando messaggi decisi e irremovibili ai partner europei con un chiaro obiettivo: far sì che le nuove misure comunitarie non possano compromettere il mercato – fino ad adesso particolarmente ricco, fruttuoso e remunerativo – delle forniture militari americane.



Dietro le parole dei funzionari americani si nasconde una preoccupazione che si fa sempre più concreta e tangibile: la possibilità che l’Europa diventi meno dipendente dalle armi statunitensi e più favorevole a dar vita a un’industria bellica autonoma, un’inversione di prospettiva che Washington non intende accettare per nessun motivo, come dimostrato dall’intervento diretto del segretario di Stato Marco Rubio, il quale, in un incontro con i ministri degli Esteri di Lituania, Lettonia ed Estonia, ha ribadito l’importanza di mantenere aperti i mercati europei per le armi made in USA.



Dietro questa manovra si nasconde però un enorme interesse economico e commerciale, che vede coinvolti colossi del settore come Lockheed Martin, Boeing e RTX Corp, disposti a qualsiasi cosa pur di difendere il proprio predominio sulle forniture di armamenti. A ciò si aggiunge un possibile provvedimento legislativo che potrebbe aumentare esponenzialmente le vendite per i principali appaltatori della difesa statunitensi, portando a 23 milioni la soglia per i trasferimenti di armi e a 83 milioni di dollari quella per la vendita di attrezzature, aggiornamenti e formazione militare.

Trump e la deregulation delle esportazioni: una politica di forza per blindare l’egemonia statunitense

Donald Trump non è nuovo a questo genere di comportamenti: già durante il suo mandato precedente ha più volte reso nota la volontà di far diventare ancora più rapido e immediato il commercio di armamenti, eliminando gli ostacoli burocratici e solidificando la posizione delle aziende americane sui mercati internazionali.

Ma questa strategia – trasformata in una politica aggressiva di deregolamentazione – ha visto il Presidente americano firmare ordini esecutivi finalizzati a rendere più semplici le esportazioni, in modo da ridurre drasticamente i controlli del Congresso su vendite multimilionarie a Paesi spesso coinvolti in conflitti o colpevoli di gravi violazioni in materia di diritti umani.

Ne troviamo conferma nel 2019, quando Trump è riuscito a sfuggire al Congresso proclamando un’emergenza nazionale per completare la vendita di oltre 8 miliardi di dollari in armi a Stati come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nonostante la ferrea opposizione di parlamentari repubblicani e democratici. Oggi la stessa linea politica continua a caratterizzare l’attuale amministrazione statunitense, che ha individuato nell’industria bellica non solo il cuore della sicurezza e della difesa, ma soprattutto un elemento essenziale dell’economia americana.

Motivo per cui la tensione con l’Europa non rappresenta esclusivamente un gioco di potere sul piano commerciale, ma una tappa successiva nella lotta per il controllo dei mercati globali delle armi, un settore in cui gli Stati Uniti non intendono, per nessun motivo, tirarsi indietro. Sarà da vedere se l’Unione Europea riuscirà a sostenere questo pressing feroce, dando vita a un’industria militare realmente indipendente e autonoma o se sarà costretta a cedere sotto i colpi sferrati da Washington.