Le tensioni in Turchia in difesa di Imamoglu continuano ma Erdogan resta in sella. L'Ue ha bisogno di lui per l'industria delle armi

Bruxelles tace. In altri tempi, di fronte all’arresto del più credibile oppositore di Erdogan, sarebbe intervenuta, cercando di farsi garante dei valori democratici. Oggi, mentre Ekrem Imamoglu è in carcere e buona parte della Turchia è in piazza a protestare, la UE non si fa sentire. Con l’arrivo di Trump, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, non è più così semplice difendere la democrazia in giro per il mondo.



La UE è troppo debole per farlo e allora, anche in Turchia, si limita a stare a guardare. D’altra parte, in una fase come questa, in cui tutti parlano di riarmo, non è il caso di puntare il dito contro una delle industrie belliche emergenti.

La protesta contro l’arresto di Imamoglu, designato dall’opposizione come candidato alle presidenziali, non accenna a diminuire. Erdogan rischia?



Se le proteste di piazza, come credo, continueranno a rimanere pacifiche e se Erdogan continuerà a lasciare in mano l’economia ai tecnocrati, penso che alla fine, piano piano, tutto si sistemerà, come è successo altre volte, e l’attuale presidente rimarrà al potere. Ci sono, comunque, due “se” importanti.

Quali sono le incognite che possono indebolire il presidente?

Le proteste, pur imponenti, raramente riescono a scalfire il governo, a meno che non ci siano conseguenze così drammatiche da mettere in discussione chi ha le leve del potere. Finora, pur essendo state molto importanti, sono state circoscritte in un’area del Paese. E così, purtroppo, non sono sufficienti a intaccare Erdogan: i mercati finanziari si sono innervositi e la lira si è deprezzata molto, ma il governatore della banca centrale è riuscito in qualche modo a governare una situazione che poteva degenerare. Poteva succedere se Erdogan avesse attuato quello che pensava di fare anni fa, abbassando i tassi di interesse; ma lasciando gestire la situazione ai tecnocrati, le tensioni, almeno sul lato finanziario, sono in parte rientrate.



Ma perché c’è stata un’azione così dirompente nei confronti del principale oppositore di Erdogan?

Imamoglu ha sconfitto due volte il partito di Erdogan a Istanbul e, pochi giorni dopo quello in cui si è verificato il suo arresto, avrebbe dovuto presentarsi come candidato alle prossime elezioni presidenziali: era oggettivamente un candidato molto temibile.

In altri momenti, di fronte a una situazione del genere, ci sarebbe stata una levata di scudi dell’Unione Europea, per chiedere il rispetto della democrazia. Perché, invece, Bruxelles rimane in silenzio?

Con Trump al potere, difendere la democrazia in giro per il mondo è diventato sempre più complicato. Non per niente la prima visita che il presidente USA farà all’estero probabilmente sarà in Arabia Saudita, Paese di certo non particolarmente democratico. Le trattative sulla pace in Ucraina, d’altra parte, si sono svolte nello stesso Paese. Insomma, l’arrivo del presidente americano ha reso più difficile ai movimenti democratici trovare l’appoggio dell’Europa. L’America è sempre stata la paladina della democrazia in giro per il mondo, almeno a parole; oggi sappiamo che non è più così e quindi anche la UE, con tutti i problemi che ha, fa fatica a prendere in mano la situazione.

All’Europa, in questo momento più che in altri, serve la presenza di Erdogan? La Turchia ha partecipato a incontri sulla difesa comune europea, lo stesso presidente verrà in visita dalla Meloni il 17 aprile. Gli europei hanno bisogno di portare i turchi dalla loro parte?

Le autocrazie nel mondo vivono un buon momento, perfino la Cina, che certamente non è un fulgido esempio di democrazia, viene accettata più facilmente di quanto lo fosse in passato. La risposta alla domanda, quindi, è sì. L’Europa ora è vista come nemica degli Stati Uniti e non può permettersi più il lusso di fare la paladina della democrazia nel mondo.

Quindi ci teniamo buono anche Erdogan?

Non è che ce lo teniamo buono: non abbiamo più la forza di imporre un granché, è una questione di forza relativa.

Ma i rapporti tra Erdogan e la UE sono cambiati? La Turchia si sta proponendo anche per vendere le sue armi: è per questo, tra le altre cose, che vengono mantenuti i contatti?

Non dimentichiamoci che pure Leonardo sta facendo un accordo con l’azienda turca Baykar per costruire droni. Siamo in una fase di remilitarizzazione. La Turchia ha due vantaggi: uno geografico, per la sua collocazione, l’altro industriale, perché è diventata un importante produttore di armi. E in questo momento di riarmo fa comodo. Dopo la Francia, la Germania, l’Italia e la Gran Bretagna, in questo settore c’è la Turchia. Anche per questo acquista una centralità che oggettivamente prima non aveva.

Se Imamoglu succedesse a Erdogan, la Turchia cambierebbe molto? Alla luce del suo arresto e delle manifestazioni di sostegno nei suoi confronti, che scenario possiamo immaginare per il prossimo futuro?

Se ci fosse un cambio della guardia, cambierebbe molto, anche nei rapporti internazionali. Erdogan, in fondo, è un opportunista: un po’ dialoga con Putin, un po’ con la nuova Siria. Credo che nessuno abbia la sua scaltrezza. Mi sembra, comunque, che abbia ancora la situazione sotto controllo. Imamoglu è stato designato come candidato dell’opposizione, ma è in prigione e gli è stata revocata la laurea (condizione necessaria per candidarsi, nda): così, tecnicamente, non può presentarsi alle elezioni presidenziali.

(Paolo Rossetti)

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