“Custodire l’umano. Voci dall’Ucraina” raccoglie 20 storie di uomini e donne che sono rimasti, testimoniando Chi salva davvero il mondo
“Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia”: così don Luigi Giussani di fronte a papa san Giovanni Paolo II il 30 maggio 1998, al primo incontro mondiale dei movimenti ecclesiali.
Io c’ero, in quel giorno grande per la storia della Chiesa, e fu per me momento di resurrezione e di gratitudine infinita. Quelle parole sulle “brutte possibilità della storia” mi richiamavano allora soltanto certi libri letti, certi film visti, testimonianze da Paesi lontani, ricordi familiari di un passato remoto.
Oggi non è più così, e gli ottant’anni di pace che ha vissuto la mia generazione appaiono sempre più come un grande privilegio e una condizione non scontata: in questi giorni droni russi hanno violato il cielo della Polonia. Davanti al male che dilaga, “quando il nemico assale”, crediamo noi che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è la salvezza del mondo? Che la Madonna veglia su di noi anche in frangenti che cominciano a suscitare timore? Che il Mistero ha un volto buono anche oggi?
Un aiuto alla virtù della fortezza lo dà la stessa Ucraina, flagellata da più di tre anni di guerra. I nostri amici ucraini hanno dato alla mostra presentata al Meeting di quest’anno il titolo Ma sono vivo. Sono le ultime parole dette da un soldato colpito a morte, ma dal chiaro significato: anche se il corpo muore, non muore l’umano che è nell’io: ognuno ha la libertà di continuare a comportarsi da uomo.
Il visitatore della mostra si è confrontato non soltanto con le dolorose e splendide immagini di un Paese devastato, non solo con il dolore, ma soprattutto con il coraggio di restare uomini attraverso la solidarietà reciproca, la compassione, la costruttività. Tutta la mostra si fonda sulla testimonianza di 18 uomini e donne che davanti allo scatenarsi della disumanità più feroce restano malgrado tutto attaccati all’ “umano nell’uomo” (Vasilij Grossman).
Avevo avuto la possibilità di leggere in anteprima il bel libro, pubblicato in concomitanza con la mostra, dal titolo Custodire l’umano. Voci dall’Ucraina (Itaca, 2025), che raccoglie l’integrale delle testimonianze, organizzate secondo voci come responsabilità, ricostruzione, disponibilità ai legami. Sono racconti di fatti, dove la cronaca diventa storia: dove ero, cosa ho visto, che domande mi sono posto, come ho reagito, chi mi ha aiutato a sperare, chi mi ha fatto capire che non sono solo.
C’è innanzitutto la tenacia di non abbandonare il proprio Paese perché possa continuare ad esistere: si ripuliscono subito le strade dopo ogni bombardamento perché la città resti vivibile, e la posta e il mercato continuano a funzionare, per “non lasciare che la città sia dominata dalla morte” (Elena Mazzola a Radio Maria).
C’è chi convince i colleghi a prendersi cura dei bimbi dell’orfanatrofio perché non subiscano la deportazione, e insegna ai bambini che ai posti di blocco devono chiamare gli adulti “zio”, “papà”… C’è il medico che presidia l’ospedale perché quando si compiono i giorni del parto i bambini continuano a nascere, anche sotto le bombe; chi accoglie i vicini di casa nel proprio rifugio e chi non vuole staccarsi dalla vecchia icona che l’ha protetto per tutta la vita; chi si preoccupa di portare il cibo a quelli che sono rimasti isolati e quelli che sono rimasti isolati che scoprono di essere nel cuore degli altri.

Nascono relazioni, ognuno racconta all’altro, perché bisogna “curare la dignità umana” (dice una testimonianza). Qualcuno sa che l’amico lo accoglierà senz’altro, qualcun altro non vuole muoversi per non abbandonare le tombe dei genitori o la vecchia nonna; e c’è chi atterra in un Paese straniero, e piange a vedere che uno sconosciuto l’aspetta all’aeroporto con una scatola di cioccolatini e un mazzo di fiori.
In una situazione tragica, la difficoltà invece che dividere unisce, e l’Ucraina si scopre nazione dove ciascuno aiuta come può proprio per conservarsi come popolo, dove i bambini – speranza del futuro – vanno a scuola, ma si fanno anche circolare libri e i teatri non chiudono.
Molti testimoni dicono chiaramente che sono cristiani, che il timor di Dio non deve venir meno di fronte al nemico. Così padre Mykhailo Dymyd, il padre del ragazzo ucciso: “Noi non combattiamo per odio, non vogliamo uccidere, vogliamo vivere dentro questo male con il bene nel cuore, pregando per il nemico perché sia benedetto da Dio e si converta”. Non un’umanità sconfitta, ma un’umanità crocifissa, vittoriosa nella croce.
Il Meeting ci ha detto questa parola di speranza e di fede anche attraverso la mostra su Vasilij Grossman, quella dei ragazzi di GS sui “profeti” di pace, quella sul banchiere che invece di fare i suoi affari da lupo si fece compagno e solidale dei poveri.
E qui sta la chiave: come scrive bene Adriano Dell’Asta su La Nuova Europa del 5 settembre, abbiamo ragione di sperare perché “è possibile abitare luoghi deserti e renderli dimore vivibili ‘con mattoni nuovi’: nuove città a una nuova società il cui cuore è la libertà di aderire a una verità che libera da ogni schiavitù e offre a tutti una dignità insopprimibile”.
Se crediamo che “il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia”, non ci resta che chiedere la grazia di restare vigilanti al nostro posto e pregare la Madonna che protegga l’umanità: “l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l’opera di un Altro. È un Altro che guida la storia secondo un percorso che Lui sa.
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