In modo più o meno esplicito tutti gli aggressori invocano Dio a cappellano della loro missione "universale". Ma si sbagliano
Tanti anni fa esisteva ancora la dichiarazione di guerra: un atto ufficiale e formale. Gli storici ricordano, a tal proposito, la sdegnata reazione della Francia alla dichiarazione di guerra dell’Italia fascista nel 1940. La decisione italiana fu definita “una pugnalata alle spalle”. Ora non esistono più ultimatum o atti formali. Le strategie di guerra non ortodossa e “risolutiva” rendono, infatti, tutto più grave e imprevedibile. Le guerre sono divenute “operazioni speciali” o imponenti azioni a sorpresa di guerra preventiva. I testi di Sun Tzu e di Von Clausewitz, accompagnati da ideologie belliciste e innestati su tecnologie sempre più devastanti, sembrano così la cifra di un mondo che corre, in modo insensato, verso il precipizio.
L’ideologia che accompagna gli interventi militari, peraltro, nega la realtà giuridico-storica e il diritto degli Stati sovrani, perché antepone il proprio fine machiavellico, non curandosi dei mezzi non leciti usati. Tali strumenti, però, generano solo odio e voglia di reagire in modo cruento.
In passato c’era anche il diritto umanitario da rispettare: si riconoscevano limiti da non superare in tempo di guerra. Alcune azioni venivano unanimemente considerate sporche e intollerabili. Che fine abbia fatto il diritto umanitario è sotto gli occhi di tutti: bimbi affamati a Gaza, ospedali distrutti, personale della Croce Rossa ucciso.
Le guerre, poi, erano funzionali a obiettivi storicamente raggiungibili: non diventavano infinite o metafisiche. I politici guerrafondai, infatti, volevano qualcosa di preciso e comprensibile anche per il nemico.
Oggi, invece, il massimalismo politico vuole l’impossibile: avanza pretese assurde a livello territoriale (violazione dell’esistenza stessa di Stati sovrani) o sostiene il regime change. Cosa sia il cambiamento di regime lo sanno bene Iraq, Libia, Siria, Afghanistan. In quei Paesi, i civili hanno subìto violenze inenarrabili e la loro situazione è peggiorata di gran lunga. La democrazia non è stata esportata e la frammentazione prodotta ha reso la guerra endemica. L’ideologia dei neocon americani ha già mostrato, insomma, nei fatti la sua intrinseca debolezza.
A tale scenario si aggiunge il nichilismo nucleare che predica la distruzione completa dell’altro, il suo annientamento. Pensiamo alle minacce dell’Iran a Israele, ai ripetuti interventi minacciosi dell’establishment russo o alle frasi di esponenti ultraortodossi israeliani. Si assiste a un continuo incrociarsi e sovrapporsi di voci dirette o sotterranee piene di minaccia per la popolazione civile e il mondo intero.
La parola pace è sparita dall’orizzonte del discorso dei politici o dei leader. In effetti anche la pace ha un costo: la vita. La crisi dei missili di Cuba fu risolta, ma John Kennedy fu ucciso a Dallas, mentre Krusciov finì i suoi giorni controllato a vista ed emarginato. Chi si azzarda a iniziare a parlare, poi, di una revisione complessiva del quadro politico, volta a dar luogo ad un’architettura della sicurezza internazionale rispettosa delle genti, degli Stati sovrani e dei diritti umani viene immediatamente zittito.
C’è però qualcosa che accomuna i decisori politici in tutto questo meccanismo di ritorsioni sproporzionate e sprezzo della vita: un punto di partenza impazzito.
La cosa che incuriosisce, infatti, in questa vorticosa regressione è che tutti i leader coinvolti nella crisi mondiale fanno appello a Dio.
Ognuno ritiene di essere portatore di una missione universale di cui pensa di essere il centro. Provate a leggere le loro dichiarazioni e vi accorgerete di quanto risultino vicine o affini.
Viene perciò da chiedere a ogni leader: qual è il tuo Dio? Tale domanda non è retorica: anzi, segna una divisione.
Tutti sappiamo che il dio azteco richiedeva sacrifici umani. Il suo nutrimento era assicurato dalla carne e dal sangue delle vittime.
Il Dio di Abramo, invece, non vuole che Isacco venga sacrificato. Apprezza l’obbedienza di Abramo, ma non vuole la morte dell’innocente. Comunica ad Abramo, insomma, che la salvezza dell’innocente ha priorità sorgiva su una fede cieca e senza ragione. Si sacrificano gli arieti, non i figli. La morte dell’innocente, perciò, è intollerabile, perché smaschera ogni idolatria. Dio è dalla parte delle vittime e non vuole sacrifici umani.
Oggi assistiamo invece in presa diretta al figlicidio: tanti giovani muoiono in Ucraina per una guerra che non doveva iniziare e tanti innocenti muoiono a Gaza, colpiti a morte per avere un boccone di pane. Non parliamo poi del Sudan, mediaticamente inesistente, in cui la morte dell’innocente viene totalmente rimossa e condannata alla cancellazione.
Il testo biblico apre un mondo diverso: quello della misericordia. Narra, infatti, che è un angelo a comunicare ad Abramo di non uccidere l’innocente Isacco, non Dio. Perché un angelo? Ogni uomo e ogni leader non devono sentire il Dio creato dall’ideologia propria (neoimperialistica) o altrui, ma la voce dell’angelo che appartiene al vero Dio. Il suono di quella parola, tuttavia, sembra sommerso da proclami argomentati, analisi lungimiranti e brillanti strategie. La sua insistenza, però, è struggente. La verità che annuncia è permanente.
In modo sommesso, nell’angolo nascosto di ogni cuore quella voce misteriosa chiede ascolto. L’angelo che oggi parla a tutti è il bimbo che soffre per la fame e i bombardamenti, l’ostaggio torturato e mortificato, la madre che piange, il civile ferito, il soldato mutilato. L’angelo che chiede il cambiamento radicale non ha la forza delle armi, solo la debolezza del dolore.
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