La minaccia delle armi nucleari non ferma le guerre. Occorre la pazienza della diplomazia. O l’invito “impossibile” di Gesù ad amare i propri nemici

Può da un male, anche tanto male, venire un bene? È una domanda che in questo momento storico non sarebbe male farsi. Un mio amico prete spagnolo ci ha detto più volte, anche di recente, che certe situazioni “brutte brutte”, pur restando “brutte brutte”, ci obbligano a cercare il vero bene, quello che in un tempo esagerato di pace abbiamo barattato con una serie di piacevoli soddisfazioni.



Per carità, questo non significa, come ha fatto qualcuno, benedire la guerra, che tra le cose brutte sembra essere la più brutta. Si tratta piuttosto di approfittare della situazione non per scappare di fronte alla guerra, come qualcuno ha già fatto, ma di cercare una seria alternativa a chi pretende di difendere i diritti dell’uomo (naturalmente anche delle donne) dimenticando che innanzitutto c’è un diritto alla verità.



Già, quale verità? In russo c’è la parola pravda, che significa verità come qualcosa che corrisponde ai fatti. C’è però anche un’altra parola, ìstina, che significa ciò che sta al fondo del senso della vita. Oggi sembra che molti ci informino dei fatti con una dovizia anche di particolari raccapriccianti. Quasi nessuno ci parla del senso a cui ci richiamano questi fatti, da cui poi dipende anche un modo corretto di vivere di fronte ad essi.

La questione della armi (quelle che uccidono, ma poi difendono, ma poi….) fa mettere in secondo piano o addirittura dimenticare il bisogno di cercare un’alternativa al loro uso. Le armi fanno male, per questo sono state inventate, e spesso non fanno male solo a chi è colpito. Perciò bisogna trovare un modo per difendersi senza essere colpiti. E qui entra in gioco il professor Umberto Gori, autore del saggio Lezioni di relazioni internazionali, libro che conservo con tanto di dedica come una specie di reliquia laica.



Dopo aver ricordato le diverse strategie militari che hanno portato i potenziali dominatori del mondo all’idea che il potere sarebbe stato di chi controllava i mari, secondo la teoria di Halford Mackinder, che pensava all’Inghilterra, o a pensare, secondo l’opinione di Karl Haushofer, che puntava al controllo delle masse continentali, vedendo in questo l’importanza di un heartland come la Russia, Gori è passato a considerare i nuovi fattori in gioco oggi. Quello dell’occupazione dello spazio aereo, quello del controllo dei beni vitali per la sopravvivenza, quello, nuovo, della deterrenza nucleare. In questo senso ricorda come la centralità dell’Europa si sarebbe spostata all’America, che ha ottenuto il controllo del nucleare e quello dell’economia.

Detto questo, però, Gori nota anche la fragilità di un sistema di deterrenza basato sulle armi nucleari, perché la loro eccezionale potenza distruttiva le rende praticamente impossibili da usare per le conseguenze negative che avrebbero per tutti, compresi coloro che vi facessero ricorso.

Allora dobbiamo rassegnarci a combattere sotto un inutile ombrello nucleare, con armi convenzionali che non sono più quelle della Prima guerra mondiale?

Qui entra in gioco il ruolo della diplomazia, spesso evocata come metodo per affrontare i conflitti, a cui resta da dire quello che può fare. La diplomazia, di sua natura, ha come scopo non il dialogo, che è un mezzo, ma compromessi accettabili. Anche soluzioni provvisorie, non necessariamente in tempi brevi. Poi tocca alla diplomazia politica attuare una strategia anche culturale e spirituale, in modo da agire nei vari Paesi per un lavoro spesso lento di educazione dei popoli. E non tanto a valori e principi astratti, ma ad esperienze di vita capaci di cambiare l’approccio della gente alla realtà cominciando da quella costituita dal potere.

In questo campo la vocazione della Chiesa non può essere solo quella di associarsi ai richiami a principi e valori ormai non più condivisi dalla maggior parte della gente, ma quella di far vedere, per chi vuol vedere, come si può vivere nella società, nei suoi diversi aspetti, secondo il Vangelo. Compreso quell’aspetto oggi ritenuto impossibile, quello che Gesù chiamava “amore verso i nemici”.

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