In un mondo che cambia, e che ora è caratterizzato dalla competizione, l’Ue ha bisogno di cambiare marcia. Questo il messaggio chiave del primo discorso dell’anno di Ursula von der Leyen, tenutosi ieri al World Economic Forum in corso a Davos poche ore dopo l’insediamento di Donald Trump. La presidente della Commissione europea ha evidenziato come nell’ultimo quarto di secolo si sia passati dalla globalizzazione a una frammentazione degli scambi internazionali e ha spiegato quali sono i contenuti della “Bussola della competitività” che Bruxelles presenterà la prossima settimana, una road map per i prossimi cinque anni basata su tre pilastri: un’unione dei mercati dei capitali per evitare che i risparmi europei finiscano per essere investiti all’estero; un quadro unico di regole valido per tutta l’Ue in modo che sia più semplice fare impresa; energia pulita a buon mercato tramite l’utilizzo delle rinnovabili e del nucleare e una maggior integrazione delle reti. Secondo Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica all’Università degli studi di Milano, si è trattato di un discorso “che non fa altro che consolidare quella Ue che ha portato alla crisi dell’Europa. In questo senso va anche annotato che la von der Leyen ha parlato della frammentazione globale, quasi dimenticandosi della crescente frammentazione interna all’Ue”.
Ha anche detto: “Con unità e determinazione, faremo la nostra parte per costruire un futuro prospero e sostenibile”. Ma la Commissione ha realmente dietro di sé i 27 Paesi membri dell’Ue?
Assolutamente no. Basta guardarsi attorno, leggere e documentarsi per notare una crescente divisione all’interno dell’Ue su diversi temi, tra cui la politica energetica. Mi sembra che ci si ostini a non imparare dall’esperienza: l’Europa è in frantumi, ma continua a prevalere un’enfasi sulla regolazione e sui prezzi, in cui si guarda in modo privilegiato ai consumatori, ma non ai produttori.
Lei parla di scarsa attenzione ai produttori, eppure von der Leyen ha parlato di un quadro unico di regole per le imprese, di un mercato di capitali che dovrebbe servire anche a finanziarle…
Non basta, bisogna che l’Ue faccia investimenti diretti a creare, per esempio, delle grandi imprese europee distributrici di energia oppure di altri servizi: in Europa abbiamo un numero crescente di operatori telefonici quando negli Stati Uniti si contano sul palmo di una mano. Penso che questa situazione sia indicativa delle pessime condizioni in cui si trova l’Ue nell’affrontare la nuova frontiera dell’economia: lo spazio.
La presidente della Commissione ha parlato tanto della decarbonizzazione e dell’importanza dell’Accordo di Parigi sul clima, probabilmente anche per rispondere alla mossa di Trump che aveva da poco firmato l’ordine esecutivo per farne uscire gli Stati Uniti. L’Ue non rischia di trovarsi sempre più sola nella sfida per la transizione energetica, visto che anche i big della finanza non ci credono più?
Anche in questo caso si nota la prosecuzione di una concezione dirigista dell’economia, che non investe su uno sviluppo che parte dal basso, dalle imprese. La von der Leyen non si rende conto che i mercati sono fatti da una popolazione di imprese: non si può parlare di decarbonizzazione senza pensare a quanti produttori distrugge. Finalmente gli industriali europei si sono decisi a chiedere che venga applicato il principio della neutralità tecnologica, che prevede un approccio flessibile alle diverse tecnologie a disposizione, senza che una prevalga necessariamente sulle altre, in base alla loro maturità ed efficacia nel ridurre le emissioni. Si tratta di un principio che non mette a rischio la continuità dell’attività delle imprese. È un approccio molto diverso da quello della transizione green dell’Ue che fissa scadenze nette.
Von der Leyen ha anche parlato delle strategie di medio periodo contro gli alti prezzi energetici, ma sembra aver dimenticato di indicare soluzioni di breve termine…
A Bruxelles questo interessa poco. In generale mi sembra che la von der Leyen non possa abbandonare l’impostazione ideologica della transizione green per pura necessità politica: deve tenersi buoni i Verdi e quella parte del Pse ben rappresentato dalla vicepresidente Teresa Ribera, che ha la delega sul Green Deal e che ha già fatto intendere di voler portare avanti le politiche avviate da Timmermans. Mi preoccupa questo atteggiamento della von der Leyen, che di fatto getta discredito sulla classe politica europea cercando di poggiare la propria azione su una coalizione politica innaturale.
Uno dei primi atti di Trump è stato dichiarare un’emergenza energetica nazionale per aumentare la produzione di gas e petrolio. Se gli Usa si muovono in questa direzione, con prezzi energetici nettamente inferiori a quelli europei, Bruxelles cosa dovrebbe fare?
Dovrebbe fare la stesa cosa. E avviare un’azione diplomatica più seria con gli Stati Uniti, anziché seguirli sempre sulle sanzioni alla Russia come ha fatto finora. L’Europa non riesce a sfuggire alle perdite che la politica di potenza nordamericana le impone, anche perché Bruxelles non è stata in grado di fare politica estera. La von der Leyen è una di quei “sonnambuli” di Christopher Clark che contribuiscono a creare le condizioni per lo scoppio di una nuova guerra mondiale.
A Davos non ha parlato di politica estera vera e propria, ma dei rapporti economici con gli altri Paesi, citando l’accordo raggiunto con il Mercosur, manifestando la volontà di cercare partnership con l’India e di ampliare le relazioni con la Cina facendo in modo che siano più bilanciate. Riguardo agli Stati Uniti, ha spiegato di essere pronta a dialogare e trattare, sapendo che gli interscambi tra le due sponde dell’Atlantico rappresentano il 30% del commercio globale, ma proteggendo e sostenendo “i nostri valori”. Cosa ne pensa?
Ma quali sono questi valori, quando l’accordo con il Mercosur desta molte perplessità in alcuni Paesi membri, tra cui la Francia e l’Italia, e non si sa se dovrà essere ratificato da tutti i Paesi membri o solo dal Parlamento europeo a maggioranza assoluta? Che valori sostiene Bruxelles di fronte agli agricoltori che rischiano di essere penalizzati da questo accordo? E poi non si possono non notare certe contraddizioni.
Quali?
È auspicabile che Ue e Usa seguano la stessa strategia nei rapporti con la Cina, possibilmente cercando di portarsi dietro anche l’India. E a proposito dei rapporti con New Delhi, come si è visto con il tentativo di dar vita alla Via del Cotone, concorrenziale alla Via della Seta, rafforzarli può infastidire non poco Pechino. La von der Leyen mi sembra una caricatura di una cavallerizza del Cirque du Soleil che volteggia sui trapezi, perché fare certe dichiarazioni vuol dire non conoscere la dura realtà della competizione economica. Per chi fa impresa, per chi lavora, queste dichiarazioni sono oltraggiose. La presidente della Commissione non sa cosa sia il mondo industriale e la colpa è anche del prolungato silenzio degli industriali europei negli anni nei confronti delle tecnostrutture di Bruxelles.
A proposito dei rapporti tra Ue e Usa, Giorgia Meloni può davvero rappresentare un ponte tra le due sponde dell’Atlantico visto il rapporto con Donald Trump?
La Meloni, con intelligenza politica, per il momento ha saputo sfruttare il grande patrimonio di esperienza della Farnesina e della diplomazia italiana, che ha superato prove come la crisi jugoslava o lo schiaffo subito in Libia. Il problema non è se può o non può rappresentare un ponte tra Ue e Usa, ma che nessuno in Europa ha creato le condizioni per poter avere con gli Stati Uniti un rapporto che non sia di contrasto diretto o di vassallaggio sciocco.
(Lorenzo Torrisi)
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