IL MIO NOME PIETRO/ Sarubbi: dopo il no di Mel Gibson porto in scena il vero san Pietro

- int. Pietro Sarubbi

Al Meeting di Rimini va in scena lo spettacolo teatrale sul primo Papa interpretato da PIETRO SARUBBI, che racconta a ilsussidiario.net come è arrivato a questo ruolo

Sarubbi_PietroR439 Pietro Sarubbi

«Mi lasci mettere i saluti a questa mail e sono subito da lei. Ecco fatto. A risponderci così, completamente a uso agio, è lattore Pietro Sarubbi, il Barabba di Mel Gibson. Che interpretando quella parte nel film La Passione di Cristo si è riavvicinato alla fede. Dopo lintervista salirà in macchina e partirà per Rimini dove un pubblico nutrito lo aspetta per assistere al suo nuovo spettacolo teatrale (sold out tutte le date). Un po se ne dispiace perché molti dei suoi fan non troveranno posto in sala. Nei prossimi mesi tuttavia lo spettacolo comincerà una lunga peregrinazione nei teatri della penisola. Al Meeting Sarubbi presenterà anche il suo nuovo libro (che ha lo stesso titolo dello spettacolo) Il mio nome è Pietro.

Dopo il no di Mel Gibson finalmente ce lha fatta a impersonare san Pietro. contento?

Sono contentissimo. accaduto tutto in modo imprevisto.

Racconti comè andata.

Avevo pensato a uno spettacolo su Barabba e unamica, Antonia Gerardi, mi ha messo in contatto con uno scrittore di testi teatrali.

Chi?

Giampiero Pizzol. a lui che ho commissionato lo spettacolo.

Che tipo è Pizzol?

Un artista a tutto tondo. Che alla mia richiesta ha aggiunto un tocco di umanità che ho molto apprezzato. Mi ha detto: Sì, ma io non ti conosco, raccontami di te. Io, per pigrizia, gli ha dato dei materiali – uno spezzone di uno spettacolo allo Zelig, immagini dei miei film e il libro che ho scritto per raccontare la mia conversione.

E lui?

Dopo un po di giorni mi richiama e mi dice: Ho visto tutto, ho studiato tutto, ma tu non centri niente con Barabba, tu sei san Pietro.

Come lha presa?

Ma come? – ho detto – proprio adesso che mi ero convinto a farlo, dopo che avevo perfino rotto le scatole a Mel Gibson che non volevo interpretare Barabba ma san Pietro, adesso mi dicono di fare san Pietro!?

Alla fine ha accettato.

Visto che lo scrittore è lui, ho accettato. Una delle cose che ho imparato nel mio cammino di fede è proprio la docilità, cosa a me del tutto estranea avendo un carattere piuttosto sanguigno.

Parliamo dello spettacolo.

Mentre lavoravo su quel testo ho scoperto di essere più vicino a san Pietro che a Barabba. A un certo punto è nata un’affezione per san Pietro, senza sembrare presuntuoso o eccessivamente onirico, ho scoperto una sorta di fratellanza.

 

Com’è san Pietro interpretato da Pietro Sarubbi?

Quando si approccia un testo a cui l’attore presta corpo, voce, emozione, pelle a un certo punto può capitare che il personaggio prenda il sopravvento. Questo è il segnale della qualità di uno spettacolo: quando il personaggio prevarica la regia, l’attore, i virtuosismi, i vezzi ed esce questa umanità prepotente vuol dire che si sta facendo un buon lavoro. Ed è quello che è successo senza che io ne avessi alcun merito. È una cosa che semplicemente accade.

 

Ci sono state “correzioni” in corso d’opera?

Siamo partiti da uno spettacolo molto comico, divertente, molto leggero e godibile. Pian piano ci ha pensato san Pietro a ripulirci. Usando la mia voce, le mie braccia, le intuizioni di Otello Cenci, la docilità di Pizzol nel correggere il suo testo. Ci ha fatto scoprire il vero san Pietro.

 

Nella Passione di Mel Gibson era un Barabba praticamente muto. In Il mio nome è Pietro reciterà invece un lunghissimo monologo. È soddisfatto della sua interpretazione?

Lo dico senza superbia. Pensavo di essere il bravo attore, padrone della scena con quel lungo monologo da recitare. Invece mi sono accorto di essere uno studentello, un discepolo nelle mani di san Pietro che mi da la possibilità di raccontarlo.

 

Ci parli del libro che presenterete al Meeting. È il testo dello spettacolo?

Il libro serve per tanti motivi. Si tratta innanzitutto del testo originale dello spettacolo. È una scelta che ho fatto d’accordo con l’autore. Sarebbe stato più semplice mettere il lavoro di cesello dopo tre mesi di prove. Invece abbiamo voluto dare la possibilità allo spettatore di confrontare i due testi: vedere com’era in origine e come è diventato in seguito.

 

Si ride?

Sì, il divertimento c’è. Non però quello costruito a tavolino sul calembour, il gioco di parole, l’assonanza, sulla comicità verbale. Ci sono momenti di comicità come ce ne sono nella vita di ogni uomo. Un uomo può commuoversi e ridere nell’arco di poche ore. Passare dalla gioia alla tristezza, dal dolore al divertimento al piacere. Nel libro si parla anche di un’altra cosa.

 

Quale?

La storia della mia conversione, che molti già conoscono. Ne parlo perché ho constatato una cosa.

 

Cosa?

Incontrando spesso studenti liceali mi sono accorto che molti di loro non hanno visto il film di Mel Gibson. Non per scelta, ma perché quando è uscito avevano 8-9 anni. Partendo da lì, racconto come da quell’incontro avvenuto assolutamente per caso, sul lavoro, sono giunto alla consapevolezza che oggi ho di me e della realtà che mi sta attorno.

 

Sulla sua conversione ha pesato anche la lettura di alcuni testi di don Giussani. Cosa l’ha colpita di più?

Siccome continuavo a parlare dello sconvolgimento che mi aveva provocato l’aver incrociato lo sguardo del Nazareno nel film di Mel Gibson, un giorno un sacerdote mi chiamò e mi disse: “Guarda io seguo gli insegnamenti di un sacerdote che si chiama don Giussani – io neanche sapevo chi fosse – che ci ha insegnato tante cose nella vita, tra cui l’attenzione a riconoscere la verità dello sguardo. Ci vogliamo incontrare, ne vogliamo parlare?”.

 

E lei ha risposto sì.

Dissi: “Sì, certo. Sono mesi che sono in balia della confusione più totale. Parliamone”. E così, da quell’incontro è nata un’amicizia che prosegue tuttora. Per rispondere alla sua domanda sui testi di don Giussani, devo dire che quello che più mi ha ferito è stato Il senso religioso.

 

Ha avuto difficoltà nella professione dopo aver sbandierato ai quattro venti la sua conversione?

All’inizio è stata dura, poi… Nel mondo dello spettacolo la citazione dell’appartenenza a Comunione e Liberazione è come avere un doppio peccato originale. Ai ragazzi che incontro dico però che rifarei mille volte quello che ho fatto. D’altronde anche Jim Caviezel, che nel film Mel Gibson interpreta Gesù, in un’intervista a Vanity Fair di qualche anno fa ha detto: “Quel film ha rovinato completamente la mia carriera. Lo rifarei mille volte”.

 

Adesso va un po’ meglio?

Si lavoricchia, e a me va bene comunque. Insegno, faccio i miei documentari. Si impara anche con l’umiltà e con la docilità. Prima ero posseduto dal desiderio della fama, dei soldi, del successo. Adesso mi interessa di meno. Le racconto un fatto.

 

Prego.

Ho lavorato tre mesi alla preparazione di un film per la Rai. Fatto primo, secondo, terzo provino, provino su parte e due giorni prima delle riprese mi hanno sostituito con un altro.

 

Peccato.

È una situazione faticosa che mi provoca anche un po’ di dolore. Faccio 4-5 film, 20 spettacoli all’anno. Ma sono briciole. 





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