ITALIA BOCCIATA/ Forte: due “buchi” fanno affondare i nostri conti

- int. Francesco Forte

Per FRANCESCO FORTE, l’insieme di ingessature e il sistema macchinoso del nostro Paese contrastano con qualsiasi politica di crescita nei cui confronti mancano stimoli tramite l’investimento

Barroso_Europa_phixr José Manuel Barroso (Infophoto)

Un giudizio negativo della Commissione Ue nei confronti della legge di stabilità. Per Bruxelles, la bozza di manovra “evidenzia progressi limitati” sulle raccomandazioni sulle riforme strutturali fatte a maggio, e la conseguenza rischia di essere che l’Italia non sarà in grado di “rispettare le regole sul deficit contenute nel Patto di stabilità”. Il debito troppo elevato del nostro Paese porta inoltre alla bocciatura di una delle richieste su cui il governo Letta contava di più in sede Ue: “L’Italia non ha accesso alla clausola per gli investimenti perché il debito non si è evoluto in modo favorevole”. Palazzo Chigi ha risposto su Twitter, sottolineando: dalla Commissione europea “nessuna bocciatura: sui rischi segnalati già misure per disavanzo e debito”. Mentre per il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, “le misure che la Commissione richiede sul debito sono in fase di definizione e avranno effetto sul corso dell’anno”. Per il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, «l’insieme di ingessature e il sistema lento e macchinoso del nostro Paese contrastano con qualsiasi politica di crescita, nei cui confronti mancano stimoli tramite l’investimento».

Quali sono le riforme strutturali cui si riferisce la Commissione Ue e come vanno attuate?

La Commissione Ue e la Bce ci avevano chiesto, già al tempo di Berlusconi, di attuare una serie di riforme, in linea con quanto indicato anche dalla Camera di Commercio Internazionale Italo-Americana. I problemi strutturali italiani sono la riforma del mercato del lavoro, la liberalizzazione dalle eccessive regolamentazioni che ingessano gli investimenti in ogni campo, il sistema giudiziario lungo, macchinoso e incerto, la retroattività fiscale che crea una serie complicata di problemi, l’oscurità del sistema tributario. Sono queste le questioni principali che il governo Letta non sta minimamente affrontando.

Ritiene che da parte degli organismi Ue ci sia un certo accanimento nei confronti dell’Italia?

Nell’impostazione della Bce ci possono essere delle vedute unilaterali. Dal punto di vista internazionale a mancare sono soprattutto le privatizzazioni nei confronti degli enti locali e di colossi come le Ferrovie dello Stato, l’Anas, la Cassa Depositi e Prestiti e Poste Italiane. Si tratta di realtà che non sono regolate da meccanismi abbastanza trasparenti sul mercato, né sono abbastanza aperti alle regole internazionali. Questo insieme di ingessature e il sistema lento e macchinoso contrastano con qualsiasi politica di crescita, nei cui confronti mancano stimoli tramite l’investimento.

Si dovrebbe intervenire in modo più massiccio anche per quanto riguarda il cuneo fiscale?

L’Ue segnala spesso l’elevato costo del lavoro in Italia, che dipende a sua volta dall’utilizzo del sistema del contratto a tempo indeterminato che ha un onere contributivo particolarmente pesante. Molti operatori economici nazionali e internazionali, ma in particolare le piccole imprese, lamentano la presenza di oneri del lavoro diversi dal cuneo fiscale, e che sono rappresentati dalle incombenze che devono gestire i datori di lavoro. Per le grandi imprese possono anche essere superate con una certa facilità, per le piccole diventano un costo aggiuntivo molto pesante.

Come ritiene che andrebbe modificata la manovra?

Tutti gli emendamenti ragionevoli sulla legge di stabilità sono stati respinti. Resta da vedere se passerà quello che mira a porre un limite alla tassazione degli enti locali. Trovo però scandaloso che il cuneo fiscale sia diventato una misura assistenzialistica. Gli edifici costruiti sulle spiagge andrebbero inoltre tolti di mano al demanio.

 

Per quali motivi?

Perché in questo modo si potrebbe consentire di investire e di uscire dalla precarietà della concessione annua, mobilitare l’economia, raccogliere dei miliardi, ma soprattutto consentire nuovi investimenti nello sviluppo turistico. Qualsiasi emendamento innovativo è stato bocciato e le misure presenti sono sempre più redistributive, e ciò che rimane è comunque estremamente limitato. Prevale quindi una linea redistributiva che non tiene conto dell’esigenza di generare crescita e di fare degli investimenti.

 

Come valuta invece la scelta della Commissione Ue bocciare la clausola per gli investimenti per l’eccessivo debito pubblico del nostro Paese?

Negli ultimi due anni il rapporto debito/Pil dell’Italia è passato dal 120% al 130%. Questo peggioramento è dovuto alla discesa notevole del Pil, che non è controbilanciata se non parzialmente dall’aumento dei prezzi. La conseguenza di questi rincari è il fatto di lasciare invariato il Pil nominale di quest’anno e quello dello scorso anno, o di ridurlo parzialmente. L’Italia ha inoltre peggiorato il rapporto deficit/Pil e sta restituendo debiti pregressi della Pubblica amministrazione.

 

Ritiene che da questo punto di vista ci siano stati errori del governo?

Il governo ha commesso due errori capitali. Se si accresce il rapporto debito/Pil senza modificare il deficit, come quando si pagano debiti pregressi già contabilizzati nel deficit, bisognerebbe controbilanciare questo fenomeno negativo con alienazioni patrimoniali di beni e imprese pubbliche. In questo modo è possibile evitare l’aumento del rapporto debito/Pil. Ciò non è stato fatto perché abbiamo un governo che ama accrescere la sfera pubblica, come si vede dagli acquisti della Cassa Depositi e Prestiti di imprese che prima erano del Gruppo Eni e stavano nell’economia di mercato, nonché dai comportamenti che riguardano gli enti locali.

 

Qual è stato il secondo errore dell’esecutivo?

La mancanza di politiche di crescita del Pil o di attenuazione della recessione ha generato uno sfasamento e un peggioramento nel rapporto debito/Pil. La colpa principale del governo consiste nel fatto di non preoccuparsi della produttività sia di breve termine tramite la liberalizzazione del mercato del lavoro, sia nel medio e lungo termine tramite politiche di investimento infrastrutturale.

 

(Pietro Vernizzi)





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