FINANZA E POLITICA/ Tasse e poveri, il “doppio errore” di Renzi

- int. Luigi Campiglio

Nella Legge di stabilità potrebbe esserci il Reddito di inclusione attiva per combattere la povertà e stimolare i consumi. Per LUIGI CAMPIGLIO non è però la strada giusta

matteorenzi_appunti_leopoldaR439 Matteo Renzi (Infophoto)

La presentazione della Legge di stabilità si avvicina e le indiscrezioni sui suoi contenuti aumentano. Si parla, per esempio, di un intervento specifico sulla povertà, con il passaggio dal Sostegno di inclusione attiva (Sia) al Reddito di inclusione attiva (Ria), che prevederebbe uno stanziamento annuo di 1,5 miliardi (cui aggiungere 1,7 miliardi del Fondo sociale europeo) per aiutare con 150-200 euro al mese le famiglie con figli più povere (con entrate mensili fino a 500 euro). Nelle intenzioni del Governo, il Ria non solo contrasterebbe la povertà, ma, insieme alla stabilizzazione del bonus da 80 euro e l’abolizione della Tasi sulla prima casa, servirebbe a rilanciare i consumi interni, aiutando la ripresa economica. «Apprezzo il gesto, è sempre meglio di niente, ma obiettivamente è proprio poco», ci dice subito Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. 

Perché questo giudizio così netto?

Ho svolto e sto svolgendo diversi studi econometrici su una misura di povertà basata sul cibo e dai dati in mio possesso posso dire con certezza che essa è molto sensibile al ciclo economico: la povertà aumenta quando c’è recessione e rallenta quando l’economia si stabilizza. Questo vuol dire che la grande crisi degli ultimi anni si è scaricata in primis su una fascia di popolazione non irrilevante. 

Quanto grande?

Corrisponde al 10% delle famiglie italiane: per loro la crisi è stata letteralmente lacrime e sangue. Bisogna poi considerare che la prima spesa incompribimile per le famiglie riguarda la casa. Ho dati precisi da cui risulta evidente che nelle fasce di reddito basse le spese per la casa finiscono per comprimere i consumi alimentari. La conclusione è che per fare politiche sulla povertà bisogna tenere conto del fatto che riguardano famiglie per cui sono essenziali le spese per la casa. Occorre quindi immaginare un mix di sostegni che siano monetari o anche in natura, come interventi nelle zone degradate delle città, sulle case popolari…

Lei ha detto che la cifra che verrebbe stanziata è bassa. Quale sarebbe quella ottimale? 

Non voglio sparare cifre a caso. Posso solo dire che al nord una famiglia con due figli povera spende mediamente 3.600 euro l’anno per i generi alimentari, contro i 9.900 euro di una famiglia non povera: una differenza abissale che invece non si vede nelle spese per l’abitazione. Quindi, questo intervento nella Legge di stabilità andrebbe benissimo, ma solo se fosse chiaro che dopo i danni di sette anni di crisi si tratterebbe solo del primo di una serie di provvedimenti di contrasto alla povertà.

L’idea è anche quella di stimolare la domanda interna…

Questa operazione andrebbe fatta indipendentemente dal suo effetto sulla domanda, che pure ci sarà. Considerando l’effetto moltiplicatore, nel circuito dell’economia entrerà più dell’importo stanziato. Tuttavia si tratta di una cifra che non può certo dare il la alla crescita dell’economia.

In effetti bisogna considerare questo intervento insieme all’abolizione della Tasi, alla stabilizzazione del bonus da 80 euro…

Sia chiaro, con questi interventi si dà respiro alle famiglie, che potrebbero anche utilizzare le risorse in più per ripagare dei debiti. Tuttavia si tratta di misure limitate rispetto a quelle compiute, per esempio, sul costo del lavoro. Se l’intenzione è quella di rilanciare i consumi, bisogna percorrere altre strade.

 

Quali?

Quel che ha messo in ginocchio il Paese è la manovra di Monti. Questo Governo ha ridotto Irap e costo del lavoro, ha stanziato incentivi per le assunzioni, ma se quelle risorse fossero state ad esempio indirizzate a una riduzione delle imposte dirette a partire dal ceto medio in giù, gli effetti sui consumi sarebbero stati parecchio robusti.

 

Quindi bisognerebbe tagliare l’Irpef?

Una riduzione dell’Irpef è prevista nel 2018, ma se fosse fatta subito darebbe un grosso aiuto. L’idea del Governo è invece quella di portare il Paese fuori dalla crisi con le esportazioni e attirando capitali esteri. Una strategia che darà qualche frutto, ma il caso Volkswagen ci dimostra che possono arrivare tegole impreviste. Abbiamo gli spazi per ampliare la domanda perché la bilancia commerciale è in avanzo, quindi se crescono i consumi e aumentano un po’ le importazioni non si creano deficit nelle partite correnti. Se parliamo di aumentare la domanda e vogliamo fare un ragionamento serio, ci vuole una manovra sull’Irpef.

 

(Lorenzo Torrisi)





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