MODELLO DANESE/ La formula della “flexsecuirity” che l’Italia potrebbe imitare

- La Redazione

Dopo le recenti polemiche scatenate dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mari Monti sul posto fisso durante la trasmissione Matrix, si torna a parlare del modello danese

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Dopo le recenti polemiche scatenate dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mari Monti sul posto fisso durante la trasmissione Matrix, si torna a parlare di uno strumento che potrebbe rivelarsi vincente nel prossimo futuro per i giovani, le imprese e per garantire la tanto acclamata equità sociale. «Gli Usa – come ha spiegato nei giorni scorsi lo stesso Monti – non è che siano un esempio da imitare completamente. Sicuramente hanno un mercato del lavoro molto flessibile ed è più facile che altrove trovare il lavoro, ma in molti settori è molto poco tutelato il lavoratore che perde un lavoro. Se proprio si deve cercare un modello, meglio certi Paesi del nord, come la “mitica” Danimarca che tutela il singolo lavoratore più che il posto del lavoro». Infatti quello che vige in Danimarca da ormai quasi vent’anni è il cosiddetto modello della “flexsecurity”, che sta ad indicare una flessibilità maggiore all’interno del mercato del lavoro, ma protetta. Nel Paese in questione, infatti, non esistono posti fissi e chiunque può essere licenziato, ma in questo caso lo Stato garantisce un reddito minimo per due anni con l’obbligo di riqualificarsi con corsi di formazione e di lavoro non retribuito. Questo strumento è entrato in vigore in Danimarca nel 1993 e fino ad ora ha dimostrato di funzionare a dovere, anche se durante la pesante crisi economica ha sofferto parecchio: prima il sussidio era di sette anni mentre adesso, come detto, di due, ma resta il fatto che in Danimarca, nonostante oggi il tasso di disoccupazione non sia molto più basso di quello italiano (7,8% contro l’8,9% italiano), i giovani sotto i 25 anni senza un lavoro sono il 14%, mentre nel nostro Paese rappresentano il 31%. Ma oltre a tutto, probabilmente la cosa più importante di questo modello danese è che è in grado di creare un’uguaglianza tra i vari lavoratori e le forme contrattuali, certo costoso in termini di tassazione, ma che riesce a superare quel divario tutto italiano creato dai contratti a tempo indeterminato, a progetto e così via.  E’ anche lo stesso Monti a spiegarlo: «Quando un lavoratore non può più lavorare in una certa fabbrica, ha una serie di tutele lui, non il posto in quella fabbrica che deve essere cancellato. Per fare questo occorrono tantissime cose che stiamo cercando di mettere in atto», quindi «occorre creare più occasioni di lavoro per i giovani, un po’ meno tutelati in modo trincerato ma più posti di lavoro.

E un Paese è capace di creare più o meno posti di lavoro a seconda di quanto è competitivo. Gli sforzi che stiamo facendo per diventare più competitivi, mirano a far sì che le aziende possano espandersi, anziché ridimensionarsi o chiudere».





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