BIMBO MORTO DI OTITE/ Curarlo con l’omeopatia? Ecco chi ci fa spegnere il cervello

- Carlo Bellieni

Non c'è stato nulla da fare per il bambino marchigiano di 7 anni malato di otite batterica bilaterale: i genitori lo avevano affidato a un omeopata. CARLO BELLIENI

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Tutti (giustamente) a stracciarsi le vesti per la morte del bambino di sette anni, morto per un’infezione che sarebbe stata curata con farmaci omeopatici invece che con gli antibiotici, ma tutti scantonano il problema: perché la medicina-medicina, quella degli studi affidabili, lunghi e ponderati, la medicina che tutti sappiamo basata sulle prove e le sperimentazioni si lascia sfuggire questi casi? Perché la medicina-medicina non ha quell’aggancio sul pubblico, sulla gente che ci si aspetterebbe dalla sua serietà e ponderosità?

La medicina ha passato varie fasi: dalla medicina sacro-magica ippocratica si è passati ad una medicina paternalistica con l’illuminismo, per arrivare ad una medicina tecnologica positivista nel ‘900; sbandando in curva sul finire del secolo scorso per diventare una medicina dei desideri e aziendalistica. E qui casca l’asino, perché se la medicina è un’azienda come le altre, io (utenza) me ne fido come mi fido di qualunque altra azienda, cioè poco o tanto a seconda di quanto mi dà fiducia chi me la propone. Male! Perché la scienza medica è sempre più affidabile; ma una medicina diventata azienda, con “pazienti” diventati “clienti” non invoglia, non avvicina, non dà fiducia. Eppure tutti i motivi logici per dar fiducia alla medicina-medicina ci sono: trattati, studi costati notti e tanti tentativi, spese, investimenti, dedizione.

Invece sull’omeopatia le critiche sono unanimi. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, scrive sulla rivista Recenti Progressi in Medicina: “il contenuto in principio attivo dei prodotti che questa branca utilizza è prossimo allo zero. L’omeopatia non è mai riuscita a provare la validità dei suoi effetti terapeutici, mentre dalle indagini effettuate dalla Cochrane Collaboration emerge che non esiste alcuna prova di efficacia dei suoi prodotti. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che, quando l’omeopatia viene utilizzata in alternativa a trattamenti efficaci, si rischia di perdere vite”. L’accademia delle Scienze russa ha dichiarato l’omeopatia non scientifica e inefficace; e la Commissione Usa di commercio federale ha fatto un’analoga dichiarazione lo scorso novembre. E proprio sulla rivista intitolata Homeopathy, si spiega che a tutt’oggi non ci sono prove che mostrino che l’omeopatia ha un effetto diverso da un placebo (cioè da qualcosa che per definizione non ha effetto curativo se non in quanto capace di suggestionare). 

Resta allora la domanda: la medicina-medicina è così chiara ed evidente, ma allora perché tanti preferiscono altro, oltretutto non badando a spese? Perché la medicina-medicina non si accredita capillarmente, non dà fiducia come logica vorrebbe? Cosa si è incrinato al suo interno, nel rapporto tra medici, coi pazienti, coi massmedia? Troppa politica, troppi interessi economici (spesso amplificati ad arte dai massmedia), troppo mercato. E troppi intralci burocratici, troppi protocolli (molti superflui) che ingessano l’arte e garantiscono solo la mediocrità. Forse, crediamo, la gente cerca un rapporto umano al tempo stesso che cerca una cura, ma la medicina-medicina spesso non può, non sa, non riesce a darlo per una deriva aziendale, per un odore di burocrazia, lasciando che le persone si rivolgano laddove invece trovano magari affabilità pur senza prove provate di efficacia.

Piantatela di scantonare il problema vero: la sanità è malata. Anche la medicina (fredda, burocratica, politica) ha bisogno di essere curata. Come? Valorizzando luoghi, centri, isolati personaggi che seriamente lavorano, che non illudono e non terrorizzano i pazienti, che sono in grado di fare il famoso “miglio in più” senza badare agli orari e ai mansionari. Sarà lungo e duro, ma si dovrà pur uscire dalla asfittica medicina aziendale, per andar incontro al malato, alle sue necessità e spesso alla sua solitudine.





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