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Home » Economia e Finanza » Industria » ILVA/ Di Maio cerca una “manina” per far chiudere l’acciaieria

  • Industria
  • Lavoro

ILVA/ Di Maio cerca una “manina” per far chiudere l’acciaieria

Giuliano Cazzola
Pubblicato 31 Luglio 2018
luigi_dimaio_2_lapresse_2017

Luigi Di Maio (LaPresse)

Ilva di Taranto, il giorno dopo il tavolo con 62 sigle al Mise, il futuro dell'acciaieria resta ancora incerto. Di Maio sembra non voler decidere il da farsi. GIULIANO CAZZOLA

IL CASO ILVA. “Convocare 62 associazioni senza nessun criterio di rappresentatività non è sinonimo di coinvolgimento e di apertura. Mettere insieme cariche elettive istituzionali e persone elette dai cittadini e dall’85% dei lavoratori insieme ad altri serve solo a fare in modo che nelle due ore che ci concede parlerà solo lui e l’azienda”. Con queste parole il leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, stigmatizza l’ultima trovata di Giggino De Rege (o’ ministro) di affrontare la grave questione dell’Ilva, promuovendo un vero e proprio happening all’interno della sede dello Sviluppo economico, anziché la classica trattativa del bel tempo che fu. 


ILVA/ "Non è ancora morta, ecco come sciogliere i nodi che ostacolano il suo rilancio"


In verità il risentimento che traspare dalle parole del sindacalista un po’ ci meraviglia. Bentivogli – da uomo di mondo – sa benissimo che in certe località della Penisola è usanza ospitale quella di offrire un buffet ai partecipanti al funerale di un congiunto. Per questo governo non è importante affrontare e risolvere i problemi, ma strumentalizzarli ai propri fini. Pertanto, se Luigi Di Maio ha proceduto a convocare 62 “sigle” (ovviamente i loro rappresentanti avranno superato il centinaio di teste, con presenze inversamente proporzionali alla loro effettiva consistenza), lo ha fatto per una questione di principio ovvero per dimostrare che i pentastellati credono nella democrazia (semi)diretta e nella partecipazione. E il metodo fa aggio sul merito. 


SCENARIO INDUSTRIA/ Le emergenze sotto traccia che pesano sul Pil


C’è poi un altro aspetto da mettere in risalto. Vi siete chiesti perché – all’improvviso – nel corso di una comunicazione urgente alla Camera Di Maio abbia ipotizzato delle irregolarità nel bando che ha portato all’assegnazione dello stabilimento ad Arcelor-Mittal? E che insista su questo tema, continuando a chiamare in causa l’Anac nonostante la sostanziale smentita di Raffaele Cantone? Semplice: il ministro-ragazzino è convinto che se riuscisse a far passare l’idea che a Taranto ha agito una “manina” (per lui la percezione è più convincente della verità), la società dei coatti e dei sobillati chiederebbe a gran voce il “crucifige” dello stabilimento che – oltre a inquinare – è investito dalla corruttela e dal malaffare. I fatti non devono essere provati, basta che la loro narrazione – ancorché falsificata e immaginaria – sia utile alla causa. 


EX ILVA/ I nodi su investitori e occupati che rischiano di portare alla chiusura


Tutto ciò premesso, dopo l’incontro di ieri si è compreso che cosa dovrebbe fare di più la cordata multinazionale per chiudere la partita e iniziare la ripresa produttiva e il risanamento ambientale? Leggiamo le dichiarazioni dei sindacalisti: “È stato un incontro informativo, in cui ArcelorMittal ha illustrato alcuni miglioramenti al piano ambientale sul solco del precedente, su cui comunque faremo degli approfondimenti. Ma il piano ambientale è strettamente legato al piano industriale e all’obiettivo della piena occupazione”. È quanto dichiarato in una nota  da Francesca Re David, segretaria generale Fiom Cgil, e Maurizio Landini, segretario nazionale Cgil. “Ci aspettiamo che il Ministro Di Maio convochi al più presto un tavolo (con 62 posti? Ndr) perché non c’è più spazio per trattative solo tra le organizzazioni sindacali e l’azienda, trattative che, peraltro, finora non hanno prodotto nessun risultato. Nel caso in cui si raggiunga un’ipotesi di accordo – concludono -, dovrà comunque essere sottoposta al voto e all’approvazione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”. 


ILVA/ Un piano, una proposta e i nodi da sciogliere per il Governo


Più loquace e ottimista Rocco Palombella leader della Uilm: “Tutte le migliorie apportate al piano ambientale di Ilva sono un punto di forza e ci trovano favorevoli. Se piano ambientale e industriale vanno di pari passo ci aspettiamo l’anticipazione dei tempi anche sulla ripresa della trattativa sindacale”: proprio ciò che secondo la Cgil non avrebbe più spazio. “A fronte di un piano così ambizioso – prosegue Palombella – siamo certi che la ‘nuova’ Ilva avrà bisogno di tutta la sua forza lavoro. Con un accordo sindacale a zero esuberi daremmo finalmente delle risposte certe e coerenti a lavoratori e cittadini, sia sul piano ambientale che su quello occupazionale”. 


ILVA/ E quel ruolo dello Stato che non smentisce la dottrina Draghi


Il segretario della Uilm ci usa la cortesia di spiegare che cosa è l’addendum di cui si è parlato nell’incontro: “L’addendum prevede di ridurre al minimo le fonti inquinanti attraverso tutte le nuove e migliori tecnologie esistenti mentre, di anno in anno, attraverso il centro di ricerca di Taranto verranno sempre aggiornate e implementate. Inoltre AM ha messo nero su bianco l’anticipazione degli interventi ambientali secondo un piano molto serrato. A nostro avviso è ora il momento di aumentare gli sforzi e trovare un accordo sindacale sul piano occupazionale, sfruttando la ripresa del confronto”, conclude il sindacalista. 


DALL'ALITALIA A WHIRLPOOL/ Tutte le crisi aziendali che Conte ha lasciato in eredità


Ma a centrare il problema è ancora una volta Marco Bentivogli: “Intorno all’Ilva si continua a fare campagna elettorale senza assumersi responsabilità e questo non risolve né la questione ambientale, né quella occupazionale – afferma il leader della Fim -. La democrazia non prevede monologhi, il Ministro ancora oggi non ha chiarito al tavolo cosa vuole fare su Ilva, salvo poi dire in conferenza stampa che è in attesa del parere dell’avvocatura di Stato.  Non si può continuare a dare ragione a tutti. Va bene ascoltare tutti, sta in capo alle prerogative del Ministro, ma bisogna scindere ruoli e ambiti di rappresentanza e accelerare i tempi e poi soprattutto decidere, noi siamo per ambientalizzare la produzione dell’acciaio, altri al tavolo ritengono che sia comunque da chiudere; il Ministro ancora una volta cerca un parere esterno per fare quello che gli compete: decidere”. 

E se “non decidere” in attesa che la vertenza marcisca del tutto, non potrebbe essere la “decisione” di Di Maio?

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