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Home » Esteri » America Latina » DIARIO ARGENTINA/ Lo tsunami economico pronto a trasformarsi in proteste di piazza

  • America Latina
  • Esteri

DIARIO ARGENTINA/ Lo tsunami economico pronto a trasformarsi in proteste di piazza

Arturo Illia
Pubblicato 15 Luglio 2020
Manifestazione a Buenos Aires (LaPresse)

Manifestazione a Buenos Aires (LaPresse)

La situazione economica in Argentina è sempre più dura e le politiche del Governo rischiano di creare sempre più rabbia e proteste della popolazione

E così mentre il Covid-19 infetta diversi leader latinoamericani (con la boliviana Añez siamo a tre, dopo il braccio destro di Maduro, Diosdado Cabello, e il Presidente brasiliano Bolsonaro) e il Continente, almeno in alcune su zone, si dimostra il nuovo epicentro della pandemia, l’Argentina continua a far parlare di sé, dimostrandosi un Paese in cui è impossibile annoiarsi, per due fatti accaduti nell’arco di poche ore l’uno dall’altro. La liberazione dalle carceri (dove al momento è ancora detenuto perché dovrebbe pagare una cauzione di 620 milioni di pesos, circa 5 milioni di dollari) di Lazaro Baez, la figura centrale degli scandali di corruzione del kirchnerismo, e il successo della manifestazione di protesta contro l’attuale Governo avvenuta il giorno in cui si celebra l’indipendenza del Paese.


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Come avevamo ampiamente previsto (ma ci voleva poco vista la situazione) ormai nelle carceri di Buenos Aires non resta più nessuno dei protagonisti della più grande corruzione che abbia investito il Paese nella sua storia. Con la liberazione di Lazaro Baez è stato dato un “liberi tutti” che rischia di veder sparire (quando non uccisi, come capitato la settimana scorsa all’ex segretario di Cristina Kirchner Fabián Gutiérrez, che ormai si era trasformato in pentito-protetto con dichiarazioni sconvolgenti sul caso) la gran parte gli attori di questo scandalo. Anche perché, seppur le indagini sulla faccenda siano finite e tutto il materiale inviato a giudizio, quindi i processi si faranno, questi ultimi continuano a essere rinviati e con l’avvento del nuovo Governo i settori della giustizia e della sicurezza sono nelle mani dell’ultrakirchnerismo, quindi in pratica, come si dice in Italia, se la cantano e se la suonano da soli.


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La tattica di Alberto Fernandez, che in molti avevano votato credendolo un Presidente moderato, è stata quella di gettare la maschera e di fare tutto il contrario, dimostrandosi in pratica l’uomo di Cristina Kirchner al potere.

La situazione dell’Argentina è veramente drammatica perché, se da un lato aumentando i casi di Covid-19 a quasi 100.000 cade il dogma della quarantena dura del Presidente (non è servita praticamente a nulla anche perché nel frattempo lo Stato non si è organizzato per combatterla, anzi l’ha favorita con la mancanza di controlli nei settori più vulnerabili), dall’altro si insidia lo spettro del post-Covid che sta sconvolgendo l’intera società portandola verso una crisi economica e sociale che sicuramente sarà la peggiore della storia. Già la Uca (Università cattolica argentina) ha pubblicato dati che danno ormai il 50% della popolazione in povertà, ma le manovre del Governo che, a fronte del dramma, concede aumenti di stipendio alla classe politica e pensioni favolose pure a ex politici attualmente ai domiciliari (ma di fatto condannati) e soprattutto dice di avere un piano per affrontare la situazione, ma, come successo per il Covid, non lo illustra, stanno spingendo la maggior parte della popolazione a una rabbia che, per ora, sfocia solo in proteste ma che è talmente carica da poter trasformarsi in qualcosa che in Europa stiamo vivendo, da circa 4 giorni, a Belgrado. Dove la gente protesta contro un Presidente accusato di promuovere una quarantena dura solo per motivi politici.


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L’economia argentina è bloccata già da prima del Covid, che ha solo portato la situazione al limite: in più bisogna registrare che il lavoro in nero, pressoché appannaggio delle classi più povere, è bloccato e ciò si riflette su quella parte della popolazione da sempre favorevole al peronismo o kirchnerismo perché mantenuta dai sussidi elargiti a piene mani. Ora lo Stato, costretto a stampare banconote in forma colossale, non ha in pratica nessuna risorsa disponibile per affrontare lo tsunami: prestiti non ne può avere se non minimi, l’industria è bloccata e l’economia pure, nei suoi settori più produttivi ai quali il Governo ha dichiarato inspiegabilmente guerra (quello agricolo in particolare).


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Ecco spiegato come mai il 9 luglio, il grido di “Libertà”, “Repubblica” e “Basta corruzione e mancanza di Giustizia” ha innescato una mega protesta con milioni di partecipanti in ogni angolo del Paese. La gente si è riversata nei punti di ritrovo spontaneamente, autoconvocatasi attraverso i social, e ha fatto sentire la propria voce ancora più forte rispetto allo scorso 25 maggio, altro giorno patrio con manifestazioni.

Il guaio è che questa volta si sono registrati atti di violenza contro una postazione di “Canal 5”, una televisione apertamente kirchnerista, e nei confronti di “giornalisti militanti” del regime, segno che siamo ormai giunti a un limite superato il quale si assisterà a quello scontro che a parole il Presidente, fin da quando aveva iniziato a governare, si era proposto di combattere, ma che poi si è trasformato in parte di esso, con dichiarazioni in appoggio chiaro e netto al kirchnerismo più intransigente, che punta a portare l’Argentina verso un totalitarismo, ma che, per ora, sta solo riuscendo a dividerla verso uno scontro ormai inevitabile.


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